giovedì 16 giugno 2016

La Stampa 16.6.16
Centrosinistra e sindrome dello scorpione
di Marcello Sorgi

Benché abbia smentito di essere pronto a votare a Roma per la Raggi, aiutando la candidata sindaca del Movimento 5 stelle favorita alla vigilia, non ci sono dubbi su cosa abbia in testa Massimo D’Alema, l’avversario più dichiarato di Renzi nel Pd. D’Alema è sicuro che domenica il premier andrà incontro a una brutta sconfitta nei ballottaggi e già adesso cerchi di scaricare su altri il conto che tocca a lui pagare. Non serve neppure scervellarsi per capire ciò che sta accadendo nel partito del presidente del Consiglio.
Se le previsioni della vigilia saranno confermate dai risultati di domenica 19, stiamo per assistere a uno dei più classici suicidi del centrosinistra messi a punto negli ultimi vent’anni, non diverso, forse solo più grave, per coazione a ripetere e compulsività, degne di attenta analisi psicologica.
A seguire il percorso storico: nel ’94, dopo la prima sconfitta contro Berlusconi, Occhetto fu fatto fuori dallo stesso D’Alema, che mal tollerò, poi, la nascita dell’Ulivo e la vittoria di Prodi nelle elezioni del ’96, e provvide a liberarsene, per interposto Bertinotti, nell’autunno di due anni dopo. Sostituendosi a lui alla guida del governo, salvo essere deposto nel 2000 da Veltroni, intanto divenuto segretario del Pds, dopo il magro risultato della tornata di regionali su cui il «leader Maximo» si era pure permesso di scommettere. Prodi aveva fatto in tempo a ricandidarsi, nel 2006, e a vincere di nuovo, sebbene stentatamente, le elezioni contro Berlusconi, che il centrosinistra dopo neanche due anni provvedeva ad azzopparlo. Per mano di Mastella, ministro di Grazia e giustizia inquisito dalla stessa magistratura che doveva governare, e abbandonato alla deriva, ma sotto sotto anche di Veltroni, tornato in auge nel 2007 per costruire, sulle ceneri del centro e della sinistra - Margherita e Ds - il Pd. Acclamato nel 2008 come primo candidato premier del nuovo partito unico del centrosinistra, a Veltroni furono fatali la sconfitta contro Berlusconi e un paio di débâcles in successivi mini-test regionali. Dopo i quali, D’Alema già preparava dietro le quinte l’avvento della segreteria Bersani, a sua volta sepolto dalla «non vittoria» come lui stesso la definì, del 2013, e dalla fallimentare gestione della corsa al Quirinale finita con la rielezione di Napolitano.
Anche Renzi, che allora era soltanto il sindaco di Firenze, fu accusato in quell’occasione di aver armato una pattuglia di pugnalatori per infoltire la schiera dei franchi tiratori che bloccarono l’elezione di Prodi alla Presidenza della Repubblica. Ma questa dei complotti e dei tradimenti orditi e rinfacciati è una costante della vicenda del centrosinistra. E se nelle faide degli ultimi anni le impronte dei killer portano sempre a sinistra, la tecnica è spiccatamente democristiana, tal che si può dire che i Democrat degli Anni Duemila sono diventati gli eredi migliori dell’antica tradizione scudocrociata che fino agli ultimi anni del Novecento vedeva riuniti, a Piazza del Gesù o alla Camilluccia, i capicorrente Dc per trovare il modo di eliminare uno dopo l’altro, con minor spargimento di sangue possibile, il segretario e il presidente del Consiglio pro-tempore, e riaprire la partita interna dando le carte di una nuova spartizione del potere.
Si dirà che anche il centrodestra a un certo punto si è ammalato di faide interne, consunzione e frammentazione, fino a ridursi a pezzi com’è ridotto e a guardare come un miracolo la riunificazione di Milano sotto l’ombrello del tecnico Parisi. Ma alla crisi dell’ex schieramento berlusconiano non fu estranea quella personale del proprio leader, travolto da scandali personali, condanne giudiziarie, dalla decadenza da senatore imposta dalla legge Severino e alla fine anche dalla frettolosa rinuncia al patto del Nazareno e alla politica delle larghe intese con Renzi, che gli aveva consentito di restare a galla, malgrado le avversità e l’evidente conclusione del suo ciclo politico.
Ciò che invece si va delineando nel centrosinistra contiene elementi di novità legati all’evoluzione del quadro politico. A parte la rimarchevole costanza di D’Alema nel ritrovarsi, in situazioni diverse e con qualche annetto in più sulle spalle, nei pressi del patibolo destinato al segretario-premier, a rendere più facili le manovre contro un leader come Renzi, che ha ancora il controllo del partito e del governo, ha contribuito la crisi del bipolarismo e l’avvento del terzo polo rappresentato da M5s. Finché il gioco era centrodestra contro centrosinistra, infatti, e finché l’unico collante di quest’ultimo era rappresentato dall’antiberlusconismo, i complotti nascevano e morivano all’interno dello stesso schieramento, senza o quasi sponde esterne. Mentre adesso, all’ombra dei ballottaggi e degli schieramenti trasversali di avversari interni e esterni, è diventato più semplice colpire Renzi e nascondere subito dopo la mano, scaricando le colpe sull’astensione o sulla destra che vota per i 5 stelle, e spera che gli restituiscano il favore a Milano.
Al di là della tecnica facilitata dall’arrivo del tripolarismo, gli effetti, però, come in passato, saranno gli stessi: grazie alla resa nei conti nel partito e alla defezione (o al tradimento verso i 5 stelle) degli elettori di sinistra, il Pd sarà sconfitto a Roma, a Torino e a Milano - più Napoli, dove ha già perso, e magari Trieste, dove rischia molto. Di conseguenza, dovrà lasciare le amministrazioni di grandi città che da tempo controllava, preparandosi a perdere il referendum costituzionale di ottobre, dato che le due anime del partito si presenteranno schierate sugli opposti fronti del Sì e del No, e a tornare presto all’opposizione, dopo la caduta, difficilmente evitabile a quel punto, del governo.