La Stampa 15.6.16
Fermiamo chi sfascia l’Unione
di Stefano Stefanini
Gli
antichi Greci interrompevano le guerre per le Olimpiadi. Oggi, dietro
la facciata di normalità serale degli Europei, la Francia è sotto un
doppio assalto: dell’incoscienza sindacale che rigetta qualsiasi
tentativo di riformare un sistema del lavoro sclerotico; del virus
terrorista insinuatosi nella società. Garantire la sicurezza degli stadi
e del pubblico, compresa la violenza gratuita degli hooligans inglesi e
russi, è impresa di non poco conto. Prevenire il terrorismo «fai da te»
di Larossi Abballa è impossibile.
La differenza fra Magnaville e
Orlando è nei numeri e nei mezzi (le armi da guerra non sono liberamente
in vendita in Europa). Stessa genesi, stessa strategia volta a seminare
paura e insicurezza nel pubblico, a fare proseliti e ispirare
emulatori. Isis si è subito appropriato di entrambi gli attacchi: non è
pianificazione o addestramento, è efficace propaganda. Omar Seddique
Mateen e Larossi Abballa erano probabilmente illustri sconosciuti a
Raqqa; si sono tragicamente guadagnati sul campo i galloni dello Stato
Islamico.
Da un anno e mezzo la Francia è sotto attacco
terrorista. Questo non ha impedito a Parigi di ospitare la Conferenza
sui cambiamenti climatici (Cop21) a dicembre e adesso i Campionati
europei di calcio.
Coraggio e orgoglio gallico non bastano se
l’irresponsabilità dei vecchi, anagraficamente e ideologicamente,
sindacati francesi, mette i bastoni fra le ruote della società civile.
Lungi dall’essere il motivo di tregua, gli Europei sono un bersaglio per
terroristi e oggetto di ricatto per una Cgt corporativa.
La
Francia è nell’occhio del ciclone. Potrebbe toccare a qualsiasi Paese
europeo, proprio mentre intorno a Brexit si sta cementando la
solidarietà trasversale anti-sistema e anti-politica. Dimmi con chi vai e
ti dirò chi sei. L’eterogenea combriccola di simpatizzanti di Brexit è
uno spaccato delle correnti di populismo e d’insofferenza che
attraversano l’Europa e si saldano con le pulsioni d’isolazionismo
nazionalista in America, cavalcate e stimolate da Donald Trump.
L’entusiasmo
per Brexit accomuna i Tories ribelli del governo britannico, Nigel
Farage, Beppe Grillo, Matteo Salvini, Martine Le Pen, gli hooligans
inglesi discesi a Marsiglia, l’emergente opportunista Boris Johnson, i
tabloid londinesi. Se ne vadano pure, ha scritto «Libération», tempio
autorevole quanto polveroso del socialismo francese. Vladimir Putin
tace, ma fa intuire che non gli dispiacerebbe; un cuneo nell’unità
occidentale è un punto a favore della Russia. E ci penserebbero da soli
gli europei a realizzare il sogno di generazioni di strateghi sovietici
che volevano dividere l’Occidente e allargare l’Atlantico. Perché no,
dice Donald Trump, come se la spaccatura dell’Ue non riguardasse il
futuro Presidente americano che spera di essere.
Ci si comincia a
domandare cosa succederebbe al resto dell’Europa se Londra se ne va.
Fanno bene Francoforte, Bruxelles, Berlino, Parigi, a prepararsi al
giorno dopo. Roma deve fare il possibile per essere pienamente inclusa
nelle consultazioni. Bisogna però aver anche chiaro chi vince se il
Regno Unito sceglie Brexit. Non sono necessarie analisi sofisticate:
basta guardare alle tifoserie. Quella pro-Brexit è un’accozzaglia di
personalità emergenti e opportuniste e di movimenti di opinione pubblica
che fondono protesta, insicurezze, qualunquismo e nostalgia, fino a
sentimenti di violenza xenofobica e fine a se stessa.
Oltre Manica
la campagna si è accesa con gli ultimi sondaggi che danno in vantaggio
il partito dell’uscita. I Brexiters sentono la vittoria a portata di
mano. Chi vuole rimanere in Europa - la maggioranza dell’establishment
politico ed economico, i leggendari mezzi d’informazione come
l’«Economist» e il «Financial Times» (la Bbc si dibatte nella camicia di
forza di una rigorosa, salomonica, imparzialità), gli strati
professionali e cittadini, la fascia degli elettori più giovani (il
problema sarà di portarli tutti alle urne) - darà fondo a tutte le
risorse di cui dispone. Mancano otto giorni. In volata tutto può
succedere.
Il referendum britannico è una torturata quanto
fuorviante ricerca identitaria. Ancora più preoccupanti per l’Europa
sono le simpatie trasversali che Brexit coagula. Al di là del cattivo
gusto dei tabloid e della volgarità degli hooligans, c’è una visione
strategica del distacco del Regno Unito dall’Ue come grimaldello per
minare le fondamenta dell’integrazione europea. Tre giorni fa Farage lo
ha detto a Aldo Cazzullo: «Insieme a Grillo faremo saltare questa
Europa. Avremo un effetto domino». Grillo non lo ha smentito.
Non
meravigliamoci se i leader di un’alleanza che ha ben poco di santo
faranno quello che dicono di voler fare, approfittando delle fragilità
che la tempesta francese sta rivelando. Non diamogli questa possibilità.