La Stampa 14.6.16
Si chiama Yanez la rivincita di Emilio Salgari
Ironico,
elegante, bohémien: nel “fratellino” portoghese di Sandokan tutto ciò
che lo scrittore sarebbe voluto apparire. Uno studio del vercellese
Felice Pozzo, decano dei salgariani
di Ernesto Ferrero
Maltrattato
o platealmente ignorato dalle storie della letteratura perché «scriveva
male», Emilio Salgari continua a vivere nell’affetto inalterabile che
non si stancano di testimoniargli tanti scrittori, da Claudio Magris a
Pietro Citati. Non solo: pochi altri autori possono contare come lui su
una vivace pattuglia di esegeti che da decenni non si stancano di
approfondire ogni minimo aspetto esistenziale o scrittorio,
identificando nuove fonti, scoprendo pagine disperse, raccogliendo
documenti e cimeli. Instancabili cacciatori animati da un intatto
fervore adolescenziale, teneri tigrotti fedeli sino alla morte al loro
carissimo leader.
Di questa confraternita è decano il vercellese
Felice Pozzo, che ora aggiunge alle bibliografie un nuovo tassello: Tra
Sandokan e Salgari. Yanez de Gomera, il bohémien dei mari malesi (ed.
Bibliografia e Informazione, Pontedera, pp. 160, € 18). Che Yanez sia il
vero alter ego del suo creatore (mentre Sandokan è piuttosto ricalcato
su Garibaldi) si sapeva, ma Pozzo ci fornisce puntuali pezze
giustificative che illuminano bene il complesso rapporto tra vita e
scrittura. Dove non sono le prose dichiaratamente autobiografiche, per
lo più «impostate» e artefatte, a raccontarci l’autore, ma proprio le
pagine in cui, non sentendosi osservato, più e meglio racconta di sé.
Autoritratto abbellito
«Beffardo
spirito della ragione e dell’astuzia, cialtronesco e spavaldo, ultima
incarnazione della mitologia bohème di Emilio Salgari»: così Pietro
Citati definisce Yanez. Il «fratellino» portoghese era quel che Emilio
avrebbe voluto apparire: un intellettuale europeo schierato dalla parte
dei ribelli, ironico, elegante, flemmatico, impassibile anche nei
frangenti più drammatici. Al tempo stesso un raffinato gauchiste e un
bon vivant, esperto conoscitore di musica (adora i valzer di Strauss),
forte bevitore, la sigaretta incollata alle labbra, proprio come lo
scrittore veronese, che ne fumava cento al giorno per la disperazione
della moglie e dei dottori. Nel descriverlo, Salgari abbellisce il
proprio stesso ritratto: «di media statura, robustissimo, dalla pelle
bianchissima, i lineamenti regolari, gli occhi grigi, astuti, le labbra
beffarde e sottili»; magari incline alle infatuazioni e agli
innamoramenti di giovanissime bajadere. Più tardi, lo farà crescere di
statura (era il suo cruccio).
Come lord Byron
Come Salgari,
Yanez è un appassionato cultore di teatro, un attore nato, abilissimo
nei travestimenti, con i quali si diverte a ingannare gli odiati
imperialisti inglesi. È persino capace di inventare raffinate
drammatizzazioni terapeutiche per guarire Ada, la figlia della Perla di
Labuan, dalla follia che le ha procurato un trauma lontano. «Soffro lo
spleen degli inglesi», confidava lo scrittore con una punta di
compiacimento, come se fosse la prova di una sensibilità (e una classe)
superiore. Anche Yanez confessa di soffrire dello stesso male, un po’
come quel lord Byron che era andato a combattere in Grecia per guarire
dalle sue malinconie.
L’età del disincanto
Come alter ego
dello scrittore, Yanez non poteva restare confinato in un ruolo
subalterno. Nei romanzi dell’ultimo decennio è lui a rubare la scena
all’esagitato signore di Mompracem, da cui si emancipa in maniera sempre
più netta. Se Sandokan è Garibaldi, lui è quel gran furbo di Bixio. Con
le sue astuzie di moderno Ulisse, diventa motore di trame complesse.
L’ex pirata ora ambisce a una nuova rispettabile identità di regnante,
poi addirittura a quello di principe consorte. Battagliare stanca.
Gli
ultimi travagliati anni dello scrittore veronese trovano un puntuale
riscontro nel disincanto di Yanez, preda di nervosismi e stanchezze
mortali. Non crede più alla propria invulnerabilità, si lascia
sopraffare da nostalgie, rimpianti, rimorsi. Si sente abbandonato,
tradito dai suoi. Si ridurrà a nascondersi nelle cloache della sua
capitale e a cibarsi di topi. L’imminente disfatta del suicidio sta
cifrata in un ultimo aforisma, tra saggezza e sconforto: «Le ritirate,
talvolta, sono necessarie e servono a preparare altre vittorie».
L’unica, grande e definitiva vittoria Emilio-Yanez la otterrà soltanto
con l’inossidabile amore dei suoi lettori.