La Stampa 14.6.16
Benestanti e integrati
Sono i jihadisti d’America
di Lorenzo Vidino
È
ancora presto per avere certezze su tutti gli aspetti dell’atroce
strage di Orlando, da eventuali collegamenti dell’attentatore con gruppi
jihadisti ai motivi che lo hanno spinto a scegliere un locale gay come
obiettivo. Il fatto che a perpetrarla sia stato un cittadino americano
di origini afghane con apparenti simpatie jihadiste porta però alla luce
varie dinamiche relative all’estremismo islamico negli Stati Uniti e,
indirettamente, in Europa.
Dopo i recenti attentati di Parigi e
Bruxelles si è spesso identificato nei palesi problemi di integrazione
delle comunità islamiche europee una delle maggiori cause della
radicalizzazione delle migliaia di jihadisti europei che hanno riempito
le file dello Stato Islamico in Siria e Iraq.
Come applicare
allora questo tipo di analisi ai casi di musulmani americani
radicalizzati, dato l’altissimo livello di integrazione e benessere
economico che caratterizza tale comunità? Esistono delle eccezioni (la
comunità somala, arrivata dall’inizio Anni 90 e concentratasi
soprattutto a Minneapolis), ma le comunità islamiche americane non
soffrono dei disagi socio-economici tristemente comuni in quelle
europee. Le ragioni sono in parte storiche. Mentre la stragrande
maggioranza di musulmani arrivati in Europa negli ultimi 50 anni sono
giunti come bassa manovalanza o come rifugiati politici, l’America ha
invece accolto le élite dei Paesi islamici come studenti nelle
prestigiose università americane o dottori e ingegneri. Non stupisce
pertanto che il reddito medio di una famiglia musulmana americana sia
più alto di quello medio a livello nazionale, cosa impensabile in
Europa. Si aggiunga la proverbiale tradizione americana di integrare
chiunque nel proprio melting pot sociale, cosa che gli Stati europei
ancora faticano a fare, e si spiega il gap transatlantico.
Tuttavia,
e il fatto ci dovrebbe far riflettere su tante analisi sulle cause di
radicalizzazione, l’estremismo jihadista esiste anche in America.
Secondo l’Fbi circa 200 americani si sono uniti all’Isis e ad altri
gruppi operanti nello scenario iracheno/siriano. Circa cento sono stati
arrestati negli ultimi due anni per attività terroristiche. E
periodicamente assistiamo ad attacchi terroristici di varia portata
perpetrati da musulmani americani che apparentemente costituiscono
modelli di integrazione. Da Nidal Hassan, medico nell’esercito americano
nato in Virginia da genitori palestinesi che uccise i commilitoni che
stavano per partire per l’Afghanistan dopo aver chiesto un parere
teologico al leader qaedista Anwar Awlaki tramite email. Agli
attentatori della maratona di Boston, i fratelli di origine cecena
Tsarnaev; il più giovane, Dzhokar, frequentava l’università con una
borsa di studio dopo aver finito uno dei licei più famosi di Boston. E
solo l’anno scorso due stragi. La prima, lo scorso luglio, a
Chattanooga, dove un giovane di origine palestinese nato e cresciuto nel
Tennessee, laureato e con un buon lavoro, compì una mattanza di
militari americani. O a dicembre, quando i coniugi Farooq fecero una
strage alla festa di Natale dei lavoratori della città di San
Bernardino. Se la moglie era di recente immigrata dal Pakistan, il
marito era nato nell’Illinois, si era laureato in una buona università
californiana e guadagnava poco meno di centomila dollari all’anno come
ispettore sanitario. Non sono certi questi casi di disagio, privazioni e
vita da banlieue - esattamente come non lo è sempre neanche in Europa.
Il
jihadismo stelle e strisce è molto diverso per dinamiche operative da
quello di molti Paesi europei. Non esistono né i quartieri tipo
Molenbeek né le organizzazioni salafite militanti che sono fucine di
reclute. Chi vuole partire per la Siria per fare il foreign fighter lo
fa con grandi difficoltà, non tanto per la maggiore distanza geografica
ma per la mancanza di sofisticate filiere di reclutamento. Ma i soggetti
radicalizzati, nonostante condizioni sociali totalmente diverse
rispetto all’Europa, esistono anche all’interno delle comunità islamiche
americane. E spesso, proprio per la difficoltà a recarsi in Siria e,
simultaneamente, per il facile accesso a armi automatiche che la società
americana offre loro, optano per attacchi individuali in patria.