martedì 14 giugno 2016

Corriere 14.6.16
«Ma occorre dare un nome al radicalismo»
di Paul Berman

I terroristi della jihad dovranno essere sconfitti su tre fronti contemporaneamente: dalle forze dell’ordine, dagli interventi militari, e nel dibattito ideologico. In questo frangente è difficile identificare quale di questi tre fronti appaia il più sguarnito. Le forze di polizia non hanno un compito facile, ma è anche vero che in Florida, come in altri Stati, gli agenti in strada hanno dato prova di grandissimo valore e dedizione. Ma si può dire altrettanto del settore investigativo? Ormai ci siamo abituati a venire a sapere, in occasione di ogni nuovo attentato, che polizia e autorità federali e locali erano già a conoscenza dei terroristi, ma per qualche motivo non era stato possibile intervenire prima per bloccarli. In Florida, l’Fbi conosceva Omar Mateen, il jihadista, e per ben due volte lo aveva sottoposto a indagini, senza però riuscire a emettere un mandato di arresto. Stessa cosa a Parigi e Bruxelles. La reazione davanti a questi insuccessi delle forze dell’ordine tuttavia non ci dovrà spingere a rinunciare alla legalità. La legge è il nostro punto di forza, non di debolezza. Ma per essere efficace, la legge dev’essere calibrata a seconda delle criticità. E' davvero impossibile ripensare in modo intelligente le leggi e gli interventi di polizia? Nel caso del massacro di Orlando, il terrorista ha potuto legalmente acquistare le sue armi. E questa è una follia. Sul fronte militare? Potrebbe anche darsi che negli ultimi mesi la coalizione ufficiosa degli Stati Uniti e delle potenze occidentali con i nostri alleati arabi e musulmani abbia inferto colpi decisivi contro lo Stato Islamico in Siria, Iraq e Libia. Purtroppo, però, 15 anni dopo l’11 settembre ci ritroviamo ancora qui, a parlare di coalizioni ufficiose, invece che di salde ed efficaci alleanze militari. Come si giustifica l’assenza di strategie a lungo termine? Ad ogni modo, nel 2001 l’impero dei jihadisti, sotto la guida di Osama bin Laden, era limitato esclusivamente all’Afghanistan. Oggi l’impero dei terroristi è un arcipelago di regioni sparpagliate da un capo all’altro del pianeta, compresi vasti tratti dell’Afghanistan. Malgrado tutte le operazioni di contrasto e di lotta al terrorismo condotte finora, non abbiamo nessun motivo di cantare vittoria.
E sul fronte ideologico? È vero che in diverse parti del mondo alcuni capi di governo sono stati capaci di affrontare il problema e hanno finalmente puntato il dito contro il nemico islamista, tracciando un parallelo tra la causa jihadista e le aberrazioni totalitarie del passato. Cameron ha fatto sentire la sua voce. Manuel Valls si è espresso con grande passione. In Italia, in visita alle Fosse Ardeatine, il presidente Mattarella ha identificato il nemico senza mezzi termini: «L’alleanza tra nazioni e popolo seppe battere l’odio nazista, razzista, antisemita e totalitario di cui questo luogo è simbolo doloroso. La stessa unità in Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore».
Una simile lucidità, tuttavia, sembra sfuggire a noi americani. Il presidente Obama non riesce ancora a definire l’aspetto ideologico della lotta, se non in termini talmente blandi e astratti da risultare incomprensibile. Il presidente si dichiara nemico dell’«odio». Ma chi non lo è? Dal canto suo, nemmeno Hillary Clinton ha saputo fare di meglio. La candidata democratica si proclama amica degli omosessuali e sostenitrice dei loro diritti, cosa eccellente; al contempo, però, si dimostra riluttante ad affrontare di petto la dottrina islamista anche a questo riguardo, tra tanti altri. Trump non potrebbe fare peggio. Vuole scendere in campo contro l’«Islam radicale», ma il suo modo di parlare dell’Islam radicale è talmente approssimativo da trasformare in nemico un quarto della popolazione mondiale. Il dibattito avviato da Trump su queste problematiche appare, anzi, fondamentalmente in linea con gli stessi jihadisti, i quali sono convinti di vivere nel Medioevo, in piena guerra tra crociati e jihad. Per oltre 15 anni, i soldati afghani hanno combattuto e sono morti in una lunga guerra per liberare il loro Paese dai talebani, e siccome il terrorista di Orlando era figlio di immigrati afghani, ecco che Trump ha colto al balzo l’occasione per accusare l’intero Afghanistan. A New York lavorano 900 poliziotti musulmani, ma Trump si dichiara nemico degli immigrati. Così facendo, Trump si dimostra per quello che è, ovvero il campione di un’America sempre più debole.
Quale di questi fronti è il più vacillante? Il più sguarnito? Difficile dirlo. Secondo me, è il fronte ideologico. La battaglia delle idee è la madre di tutte le battaglie, l’unica capace di metter fine al pericolo del terrorismo. È impossibile, tuttavia, sconfiggere un nemico ideologico se non riusciamo nemmeno a descriverlo. E questa consapevolezza rischia di farci precipitare nello sconforto e nel pessimismo.
(Traduzione di Rita Baldassarre)