Il Sole 14.6.16
Tusk: Brexit fine della civiltà occidentale
Per il presidente del Consiglio europeo a rischiare non è solo la Ue - Vertice Draghi-Juncker
di Beda Romano
Bruxelles
Tra le malcelate preoccupazioni degli uni e la cauta speranza degli
altri, l’establishment comunitario conta i giorni che lo separano dal
voto referendario con il quale la Gran Bretagna deciderà se rimanere
nell’Unione. Ormai mancano meno di 10 giorni, e l’esito rimane incerto.
Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha dato una allarmata
intervista al quotidiano tedesco Bild, per avvertire che Brexit avrebbe
pesanti ripercussioni sulla «civiltà occidentale».
Una uscita del
Regno Unito dall’Unione «sarebbe economicamente e anche da un punto di
vista geopolitico uno scacco per la Gran Bretagna», ha detto Tusk, ex
primo ministro liberale polacco. «Perché sarebbe così pericoloso? (…) In
quanto storico, temo che Brexit possa marcare non solo l’inizio della
distruzione dell’Unione ma anche della civiltà occidentale». Un voto
favorevole all’uscita del paese «rafforzerebbe» tutti i movimenti
politici euroscettici e indurrebbe «i nemici esterni a stappare
champagne».
«Qualsiasi famiglia sa che un divorzio è traumatico
per tutti. Tutti nella Ue, ma in particolare i britannici, avrebbero da
perdere in termini economici», ha aggiunto Tusk. Proprio ieri il
presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha incontrato
qui a Bruxelles il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi.
Secondo la portavoce dell’esecutivo comunitario Mina Andreeva,
l’incontro fa parte degli scambi regolari tra i due esponenti, ma si
deve immaginare che i due abbiano discusso di Brexit.
Il voto
inglese sta mettendo alla prova la comunicazione dell’establishment
comunitario. Deve prendere posizione, avvertendo dei rischi di un Brexit
e criticando i sostenitori di una uscita del Paese dall’Unione? O è
invece meglio evitare di immischiarsi nella campagna elettorale per
paura di rafforzare indirettamente il campo di coloro che voteranno per
Brexit? C’è di più. L’establishment è diviso: nel caso di Brexit, c’è
chi vede solo nero; e chi invece spera nel medio termine in un rilancio
dell’Unione.
A prendere posizione ieri è stato anche il premier
olandese Mark Rutte: «La Gran Bretagna è una economia di mercato
proiettata verso l’esterno, come l’Olanda. Siamo ambedue nazioni di
navigatori, abituate a commerciare e a lavorare con le frontiere aperte.
È importante che un paese come il Regno Unito rimanga». Rutte ha poi
aggiunto: «Osserviamo molta instabilità nel mondo. Se una delle più
grandi economie del mondo lasciasse l’Europa, ciò indurrebbe molti a
stappare champagne. Non voglio che succeda».
Proprio la settimana
scorsa, l’Ufficio di analisi delle politiche economiche (noto con
l’acronimo CPB), un ente pubblico olandese, ha sostenuto che l’Olanda
sarebbe uno dei Paesi che più soffrirebbero del Brexit, con una
riduzione del prodotto interno lordo dell’1,2% da qui al 2030, per via
di un calo degli scambi commerciali. L’Aja non è solo tradizionalmente
alleata di Londra. Deve anche fare i conti con la bocciatura da parte
degli elettori olandesi di un accordo di associazione con l’Ucraina.
Il
risultato del voto referendario non è vincolante per il governo
olandese, ma quest’ultimo deve ancora decidere come reagire al
referendum (si veda Il Sole 24 ore dell’8 aprile scorso). Non per altro,
ieri all’Aja incontrando un gruppo di parlamentari europei, lo stesso
Rutte ha criticato l’istituto del voto referendario: «Sono totalmente
contrario ai referendum – ha detto –. E sono totalmente, totalmente,
totalmente contrario ai referendum sugli accordi multilaterali».