La Stampa 13.6.16
Homeless, il boom degli invisibili
In
Italia sono circa 50 mila a vivere in strada e nei dormitori, fra loro 8
mila donne La società reagisce all’emergenza ma stenta a organizzare
strategie di re-inclusione
di Linda Laura Sabbadini
Gli
homeless sono persone invisibili nella vita e invisibili nella morte,
forse anche per questo Richard Gere ha deciso di raccontarli e di
mostrarli a tutti, a noi che viviamo nelle grandi città e passiamo
davanti a queste persone senza guardarle, rimuovendo la loro presenza e
la loro sofferenza, e ha girato il docu-film «The time out of mind». Il
grande attore americano si è calato nelle vesti di un uomo senza dimora
tra la gente di New York, uno qualunque di coloro che vivono la fase più
acuta della povertà, un’emergenza sociale permanente nelle metropoli
dei Paesi avanzati, e anche nel nostro. Gli homeless non sono «diversi»,
non si tratta di individui con problemi mentali come troppo spesso si
pensa, provengono anzi da diverse estrazioni sociali. Ma la condizione
di grave emarginazione, di homelessness appunto, li espone a rischi
elevatissimi per la propria vita a causa del mancato soddisfacimento di
bisogni basilari.
In Italia gli homeless stimati sono circa 50
mila in 158 Comuni italiani. Alla fine del 2014 era questo il numero di
coloro che hanno utilizzato servizi di mensa o di accoglienza notturna,
ma questa cifra potrebbe essere più alta se si considerano quelli che
non usano alcun servizio (vedi Istat, ministero del Lavoro, Caritas e
Fiopsd). Milano e Roma ne accolgono quasi 20 mila, seguono Palermo,
Firenze, Torino e Napoli. In gran parte sono uomini, più di 40 mila, ma
le quasi 8 mila donne, per metà straniere, hanno una età media elevata,
intorno ai 45 anni, e si trovano senza dimora in media da più di due
anni e mezzo. Più si prolunga questo stato più difficile è attivare i
processi di inclusione sociale, con il passare del tempo la situazione
si cronicizza e i percorsi di accompagnamento fuori dall’estrema povertà
sono più ardui. E non va sottovalutata la situazione delle donne che
hanno problemi ancora più grandi di sicurezza, rischiano di subire
violenza e anche, purtroppo, la prostituzione. Senza pensare alla
situazione delle anziane particolarmente esposte sul piano della salute.
Lavoro e matrimonio
La
situazione dei 13.000 giovani homeless è particolarmente dura nelle
città più grandi, perché legata all’immigrazione, alla droga, alle
dipendenze e a una forte carenza sul fronte della formazione e delle
relazioni sociali. Il minore investimento in capitale umano e sociale
per i giovani è fortemente predittivo di grave esclusione sociale nel
futuro. È fondamentale dunque che la situazione di questi ragazzi non
diventi cronica e che su questi si investa velocemente per la loro
reinclusione. Deve essere chiaro che essere senza dimora non è affatto
una scelta di vita, come spesso si dice a sproposito, ma il risultato di
un processo, che porta al precipitare della situazione anche nell’arco
di un brevissimo periodo.
I fattori fondamentali che incidono sul
fenomeno nel suo complesso, e che spesso si verificano in congiunzione
tra loro, sono la perdita del lavoro e la separazione. A questi si
sommano i problemi di salute. Il fenomeno degli homeless ha tante
sfaccettature, riguarda differenti segmenti di popolazione a cui bisogna
rispondere con interventi molto flessibili.
Ogni homeless
nasconde una storia a sé che ha bisogno di essere capita. Ma il fenomeno
sta cambiando rispetto al 2011, quando venne condotta la precedente
indagine, non tanto per il numero di homeless, quanto nell’allungamento
della permanenza in questa situazione e nell’elevamento dell’età media
degli homeless.
Gli eroi del «non profit»
Gli italiani
continuano a presentare un’età media più alta e una permanenza più
lunga, ma gli stranieri sembrano, purtroppo, convergere sul modello
italiano sia per l’età sia per la durata. Che fare? Servizi per i senza
dimora ci sono, ma sono realmente sufficienti? In realtà crescono le
difficoltà dei servizi di mensa e accoglienza notturna. Infatti, questi
nel 2014 sono in diminuzione del 4% rispetto a tre anni prima, a fronte
di un aumento delle prestazioni (pranzi, cene, posti letto) erogate ogni
mese alle persone senza dimora del 15%. Meno servizi hanno fornito più
prestazioni, quindi hanno dovuto far fronte a una maggiore pressione non
tanto di più homeless, ma di un numero simile che ne ha fruito con
maggiore intensità.
Ma tutte queste prestazioni da chi vengono
erogate? In gran parte da coloro che ogni giorno sono vicini ai i
bisognosi di aiuto, dando loro la speranza di una vita migliore: il “non
profit”, i volontari che interagiscono con il pubblico in una sinergia
fondamentale per il raggiungimento di obiettivi così importanti. Un
lavoro encomiabile, prezioso per le politiche. Il problema è che molto
spesso alla situazione emergenziale si risponde con politiche
emergenziali che puntano fondamentalmente al soddisfacimento dei bisogni
primari, il mangiare, il dormire, il lavarsi. Mentre necessitiamo
sempre di più di strumenti di reinclusione sociale, attraverso il
supporto psico-sociale, il sostegno al reddito, l’inserimento nel
lavoro, gli alloggi.
I servizi devono essere sviluppati su tutto
il territorio nazionale in modo uniforme e devono essere capaci di
garantire le persone più in difficoltà, ovunque tale situazione di
estrema povertà li colga. Non bisogna appiattire le politiche su
interventi di natura unicamente emergenziale dettati dalla necessità di
rispondere con meno risorse a bisogni crescenti. Innovazione e nuova
progettualità devono farsi strada perché non si tratta solo di salvare
la vita a queste persone ma di costruire un percorso verso una vita
vera. È un obbligo in una fase in cui la crisi sociale continua a essere
acuta più di quanto possa sembrare dagli indicatori economici.