La Stampa 13.6.16
Raddoppia il numero delle famiglie in povertà assoluta: sono 1,5 milioni
Confcommercio: questa recessione è peggio della crisi del 1929
di Luigi Grassia
Una
crisi economica così lunga e pesante come quella che abbiamo vissuto in
Italia non ha solo colpito le aziende e il prodotto interno ma anche le
famiglie: quelle classificate come indigenti assolute sono quasi
raddoppiate, segnando un +78,5% dal 2007 al 2014. I nuclei familiari in
queste condizioni erano 823 mila nel 2007, un numero già alto, e sono
cresciuti a quasi un milioni e 500 mila nel 2014; la loro quota sul
totale delle famiglie italiane è a sua volta schizzata dal 3,5% di prima
della recessione al 5,7% del 2014. Lo rileva l’Ufficio studi della
Confcommercio.
Dice un rapporto che i singoli individui in
condizione di povertà nel 2014 hanno superato i 4 milioni, +130%
rispetto al 2007, arrivando a sfiorare il 7% della popolazione. Nei
sette anni di recessione, il reddito disponibile della famiglie (in
termini di potere d’acquisto ai prezzi del 2015) si è ridotto del 10% e
anche di più.
«Questa a cavallo dei primi due decenni del XXI
secolo - scrive la Confcommercio - rappresenta la seconda recessione per
gravità nella storia nazionale dalla proclamazione del Regno d’Italia»:
infatti le cose sono andate peggio in questi ultimi anni che nella
prima guerra mondiale e nella crisi del 1929. Il Pil reale per abitante
nel 2015 è regredito al 1996: «È come se le famiglie italiane avessero
spostato indietro di un ventennio l’orologio del tenore di vita».
La
caduta di Pil e investimenti si è riflessa sul lavoro. Fra il 2007 e il
2014 sono andati persi un milione e 800 mila posti in totale. Sono
cambiati anche i modelli di consumo: le famiglie hanno tagliato persino
la spesa alimentare, contrattasi di oltre il 12%. Sacrifici più pesanti
nell’acquisto dei beni durevoli: -25%. Tuttavia «in questa prima parte
del 2016 sembrano rafforzarsi i segnali di ripresa» dice la
Confcommercio. Ma non c’è da stappare bottiglie di champagne: il ritmo
di crescita della nostra economia resta lento, soprattutto se
confrontato con la crescita congiunturale della Germania (+0,7%). La
Confcommercio fa un confronto sfavorevole con i tedeschi anche per
quanto riguarda la pressione fiscale a carico di imprese e delle
famiglie. «Se l’Italia avesse avuto la stessa pressione fiscale della
Germania nel 2014 - è il calcolo dell’Ufficio studi - ci sarebbero stati
66 miliardi di euro in meno di prelievo fiscale, vale a dire 23
miliardi in meno di Irpef e altrettanti di imposte indirette, e 20
miliardi in meno di carico contributivo su imprese e lavoratori».
Da
notare che l’eccesso di carico fiscale in Italia si associa
all’incapacità di tagliare sul serio la spesa pubblica, almeno secondo
la Confcommercio. La ricerca dice che «finora gli unici tagli hanno
riguardato la spesa in conto capitale, cioè gli investimenti pubblici».
Invece tutte le componenti di spesa corrente derivanti da scelte
discrezionali sono in crescita fra il 2015 e il 2017, anche se «con
incrementi leggermente inferiori a quelli del Pil nominale».