La Stampa 13.6.16
ll fairplay è già finito
Dai bus ai Giochi olimpici Raggi-Giachetti sul ring
Confronto televisivo tra colpi bassi e irrisione
di Mattia Feltri
La
competizione è spazzata via dal risentimento. Tutta la rabbia del mondo
di sotto è riassunta negli occhi duri di Virginia Raggi. Forse nemmeno
importa che lei dica cose sagge o cose sciocche, che davvero abbia
l’idea sovvertitrice degli umani destini, o spacci due soldi di buon
senso per la sezione aurea della politica; importa che l’avversario,
Roberto Giachetti, abbia un moto di cavalleria e le riconosca coraggio e
giusta ambizione, e lei lo ripaghi con un colpo basso: «E’ stato
sincero soltanto quando ha detto di non avere le qualità per governare
Roma». Chissà quanti saranno stati felici di sentirsi nei suoi panni, a
sferrare a Giachetti un calcio collettivo, e cioè il calcio degli
sfruttati sferrato al Pd e all’intera casta: è questo lo schema di oggi.
Perché Raggi dovrebbe abbandonarlo? Arriva nello studio di Lucia
Annunziata, a In ½ ora, e irride il rivale per le sue «parole al vento»,
e insinua che «qualcuno» gli avrà imposto la candidatura, e certifica
che non conta più il valore delle persone ma da quale parte della
barricata si vuole stare, se «con i partiti che hanno distrutto Roma
negli ultimi venti anni» oppure con il nuovo imposto dalla Storia: il
Movimento cinque stelle. Perché Raggi dovrebbe sorridere se non ha
niente di cui sorridere? Perché essere leali con chi è additato come il
campione dei ladri di futuro?
Stabilito il punto di partenza, il
resto è accademia, è giochetto per iniziati. Raggi riesce a proporre la
bizzarria della ristrutturazione e della non onorabilità del debito,
simultaneamente, ma conterà di più dell’enorme essenza del buco e
dell’indisponibilità dei romani a considerarsene corresponsabili? Riesce
ad attribuire al dirimpettaio l’intenzione di salvare l’Atac (l’azienda
dei trasporti) con l’ingresso dei privati, quando invece ha detto che
prima va risanata e poi eventualmente in parte venduta, ma se ne
interesserà qualcuno di quelli già impegnati nella purificazione della
civiltà? Riesce a dichiarare municipalizzata del commercio dei fiori
un’azienda creata per cercare una sede al mercato, e di cui il comune ha
soltanto il dieci per cento, ma è un errore di qualche peso davanti al
madornale scialo dell’amministrazione? Riesce ad assumere la millesima
posizione sulle Olimpiadi, da ipotesi criminale a ipotesi percorribile
(«è un’occasione di sviluppo, vediamo che cosa succede a novembre»), ma
scuoterà le coscienze più di quanto le scuotano le buche per strada o le
crepe sui muri della scuola? Riesce a immaginare un censimento
sociosanitario e patrimoniale nei campi rom, di modo che «chi ha i soldi
si compri una casa» e chi non ha lavoro «vada a lavorare», ma
l’impossibile a portata di mano non è precisamente nella natura dei
cinque stelle e nella scostante sicumera della sua candidata?
Dunque
a Giachetti è rimasto lo spazio del comprimario, così scarsamente
armato di furia catartica, al massimo di buona creanza, di una
apprezzabile esperienza in Campidoglio al fianco di Francesco Rutelli,
di qualche soluzione sui conti e sulle municipalizzate figlia di qualche
competenza, di un casellario giudiziale su cui nemmeno i grillini hanno
niente da ridire. Gli è toccato perdere tempo per precisare il nulla, e
cioè che si era giudicato inadatto al governo di Roma perché il compito
gravoso impone umiltà. Soprattutto gli è toccato di scendere sul
terreno dell’avversario con gli effetti speciali, il biglietto
dell’autobus gratuito per gli ultrasettantenni e a metà prezzo per i
minori di vent’anni, il progetto di dare più luce alla città di notte, e
gli è toccato di farlo, e fino in fondo, proprio all’ultimo minuto per
ricordare a Raggi che il sindaco di destra da cui partì il
“sistema-Buzzi”, evocativo di Mafia capitale, e cioè Gianni Alemanno,
voterà per lei. Gli sarà servito a poco, giusto a confermare che la
situazione è irrimediabile.