domenica 12 giugno 2016

La Stampa 12.6.16
Giachetti-Raggi, sfida a sinistra
Ora si contendono Berlinguer
I candidati rispondono a Fassina e ignorano l’offerta di Marchini
di Mattia Feltri

Siccome è diventato un santino, Enrico Berlinguer è ormai applicabile a ogni ambizione. Virginia Raggi almeno lo ha citato bene, ieri, a proposito dei partiti che «sono soprattutto macchine di potere e di clientela». Roberto Giachetti, in occasione dei trentadue anni dalla morte, è andato sulla tomba al cimitero di Prima Porta e ha postato la foto su Twitter. I conti sono tornati per entrambi: Raggi è riuscita a dire che alla profezia del segretario del Pci non è sfuggito nessuno, nemmeno il Pd, e Giachetti ha provato una volta di più a restituire un senso di comunità alla disillusa sinistra romana. I concorrenti al ballottaggio sembrerebbero persuasi che ora servono i voti di sinistra, e infatti si sono precipitati a rispondere su Huffington Post alle cinque domande di Stefano Fassina «per decidere il ballottaggio»; impegnati a blandire il cinque per cento di Sinistra Italiana, i due non hanno fatto caso al povero Alfio Marchini, pronto a mettere in palio il suo undici: «Se vogliono un incontro, io ci sono». Niente, non lo vogliono. Forse hanno anche un po’ schifo - politicamente parlando - dei voti di destra, un tempo ambiti da Matteo Renzi: nelle delicate righe a Fassina, Giachetti ha scritto di sentirsi molto più affine a lui che a Marchini; Raggi ha respinto sprezzante le carinerie di Matteo Salvini («mi pare voti a Milano, quindi...»). E così ieri mattina faceva tenerezza, in collegamento con SkyTg24, il capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta, incitare i suoi fan a convergere su Raggi - e su Chiara Appendino. Raggi l’ha ignorato. Il Pd ha subito addebitato ai Cinque Stelle amici imbarazzanti: dopo Gianni Alemanno e Salvini ecco Brunetta, ha detto il senatore Andrea Marcucci. Miracolo del Movimento: «Riesce a mettere assieme tutta la destra».
È una tattica comprensibile. Giachetti si industria alla riconquista degli alleati a sinistra (e ha incassato volentieri l’appoggio di un paio di parlamentari ex vendoliani) e dunque degli elettori del Pd assenteisti al primo turno. Quando Renzi ha progettato l’uso del lanciafiamme dentro al partito, Giachetti si è dichiarato «antimilitarista», quando gli organizzatori del gay pride lo hanno invitato in piazza, lui ha soltanto rinviato, «verrò da sindaco», e ha avuto una parola buona anche per gli occupanti del Teatro Valle. Raggi invece prosegue nell’infinta e fantastica soluzione a Cinque Stelle di considerarsi ed essere considerati migliori per assenza di competenze e di curriculum. Il povero Giachetti, che fra tutti i politici dell’emisfero è il meno iscrivibile alla Casta, viene trattato come l’ultimo bacillo della peste. La senatrice Paola Taverna ha pensato di ufficializzare l’appartenenza del candidato del Pd alla planetaria associazione a delinquere delle élite per il possesso «di due casaletti a Subiaco», mentre Raggi l’altra sera, in un incontro a Unindustria, ha stretto la mano al rivale rivolgendogli il solito sguardo di ripugnanza; poi, mentre lui parlava, lei ha preso e se n’è andata. Sarà così per l’intera prossima settimana e a cominciare da oggi, quando la coppia si confronterà a In ½ ora da Lucia Annunziata. Siamo in grado, senza particolari doti di preveggenza, di anticipare che Raggi attribuirà i disastri romani, dalle buche alla spazzatura ai trasporti, al ventennio di paritaria alternanza destra-sinistra, e Giachetti risponderà che, veramente, gli ultimi due sindaci, Gianni Alemanno e Ignazio Marino, hanno dichiarato di votare per i Cinque Stelle. Il resto sarà la conseguenza per quel che resta della campagna elettorale: dopo Berlinguer, sarà il regno della fantasia.