La Stampa 12.6.16
Salvatore Settis
“Regaliamo giovani di talento all’estero”
intervista di Alain Elkann
Professor
Salvatore Settis, lei ha appena pubblicato da Einaudi «Costituzione!
(Perché attuarla è meglio che cambiarla)»: di che cosa si tratta?
«È
un libro che, sebbene esca in un momento vicino al referendum, non
riguarda il governo Renzi, ma un lento abbandono della Costituzione. La
domanda di fondo è: la Costituzione la stiamo attuando o no? Per esempio
il diritto al lavoro è citato nell’articolo 4: cosa stiamo facendo oggi
per attuarlo? Un altro caso è l’articolo 32, il diritto alla salute. È
stato regionalizzato e vi sono regioni dove funziona, come in Toscana,
oppure dove funziona malissimo, come in Calabria. Quello che mi
preoccupa è che si voglia cambiare la Costituzione senza un progetto
vero».
E per quanto riguarda i beni culturali?
«La mia
preoccupazione per la riforma del ministro Franceschini, che è partita
da idee molto buone come avere nominato direttori stranieri per i
maggiori musei, è quella di una eccessiva burocratizzazione. I
sovrintendenti, che hanno le loro competenze, sono stati messi sotto la
tutela dei prefetti, che non sono certamente esperti di storia dell’arte
o di archeologia. Questo sta portando ad una serie di disfunzioni
preoccupanti. Franceschini ha ottenuto l’assunzione di 500 nuovi
funzionari, ma ci vorranno due anni perché entrino in azione e intanto
più di mille andranno in pensione. La tutela dei beni culturali è una
primogenitura che mi sembra stiamo perdendo».
Quali sono, secondo lei, le priorità assolute per i beni culturali in Italia?
«Ripristinare
l’indipendenza tecnico-scientifica e considerare le sovrintendenze e i
musei come istituti di ricerca. Noi separiamo oggi tutela e
valorizzazione e, invece, dovrebbero essere unite dalla conoscenza che è
dinamica e si esprime nella ricerca».
A che punto siamo a Pompei?
«Grazie
ad un progetto speciale, c’è un ottimo sovrintendente e le cose si
muovono bene. Anche agli Uffizi c’è un ottimo direttore, Eike Schmidt. E
a Venezia è stato nominato un direttore italiano, l’ottima Paola
Marini. Ma il problema è che nei musei c’è personale insufficiente.
Negli ultimi 20 anni incoraggiare i giovani a laurearsi in Storia
dell’Arte e Archeologia era come condannarli alla disoccupazione».
Qual è la sua idea di come gestire un patrimonio così straordinario come quello italiano?
«Il mio disegno è di destinare più risorse, come un investimento».
Dove prendere queste risorse?
«L’Italia
è il terzo Paese al mondo per evasione fiscale. La Confcommercio dice
che vi è un’evasione di 154 miliardi di euro all’anno. È mancata una
politica contro l’evasione fiscale».
Lei ha scritto il saggio «Se
Venezia muore», pubblicato da Einaudi. Un libro che, partendo da
Venezia, parla delle città storiche in generale.
«I centri storici
sono sempre più costosi, riservati a chi ha dei denari e i giovani non
ci possono abitare. Venezia perde mille abitanti all’anno».
È il momento di interrogarsi su ciò che si può fare per i centri storici?
«Una
politica della casa gioverebbe a molte città come Roma, Napoli,
Bergamo. Un altro punto molto importante è l’equilibrio tra natura e
città. Nel caso di Venezia tra la città e la laguna. La laguna oggi è
molto poco curata e abbandonata. Credo che vi siano tre processi di
trasformazione profonda della forma della città. Il primo è che viene
orizzontalizzata e si estende a marmellata. Il secondo punto è la
verticalizzazione, che chiamo la retorica dei grattacieli. Il terzo
punto è la divisione in quartieri sulla base del censo. È una visione
contraria a quel valore nel quale crediamo sempre meno e che si chiama
democrazia».
Si può costruire oggi qualcosa di bello in un Paese come l’Italia?
«Sì
e penso che bisogna avere la capacità di rispettare anche il passato.
Come esempio positivo penso all’architetto Mario Botta, che a Rovereto,
in un quartiere del Settecento, ha costruito il museo Mart».
Quali sono i suoi modelli?
«Io
sono naturalmente in ammirazione davanti a Borromini, anche lui un
architetto ticinese, e ammiro l’architettura contemporanea. Anche se
troppi costruiscono pensando all’effetto visivo che l’edificio può fare
sulla patinata carta di riviste specializzate. Ma molto spesso oggi gli
architetti non pensano agli esseri umani e a farli vivere bene, mentre
guardano principalmente ad un’estetizzazione astratta. Vitruvio diceva
che la prima cosa per l’architetto è configurare gli edifici per una
vita piacevole».
E per quanto riguarda l’arte a che punto siamo?
«L’arte
contemporanea è sempre stata un problema. Lo era per capire Rubens e
Caravaggio, mentre oggi ci sono ancora artisti interessanti: per esempio
William Kentridge e il suo fregio a Roma che ricostruisce la storia di
Roma da Romolo e Remo alla morte di Aldo Moro».
L’Italia della cultura va di pari passo con gli altri Paesi?
«Arranca
per mancanza di risorse e di una vera visione. La cosa importante è che
l’Italia produce giovani bravi che regaliamo al resto del mondo. Siamo
in un rapporto da uno a 10. C’è una grande incultura da parte dei
politici che non hanno capito che investire in cultura è anche
produttivo. Ma noi non ci vergogniamo di questo».