domenica 12 giugno 2016

La Stampa 12.6.16
Chiamparino: “Caro Matteo il Pd dimentica i deboli. Per vincere riparti dal lavoro”
Il governatore: un errore sostenere che va sempre tutto bene
intervista di Maurizio Tropeano

Negli anni d’oro di Silvio Berlusconi e dell’onda azzurro-verde che conquistava il Nord Italia, Torino per il centrosinistra è stata il villaggio di Asterix assediato dai Romani o, se preferite, la Leningrado che non fu mai espugnata dai nazisti. Adesso, però, potrebbe cadere e diventare la prima grande città del Settentrione a guida grillina. Sergio Chiamparino, per dieci anni sindaco e ora presidente del Piemonte, si dice convinto che Piero Fassino resterà in carica («Se diamo retta a Chiara Appendino Torino rischia di perdere 250 milioni per realizzare il Parco della Salute»), ma avverte Matteo Renzi e il Pd: «Sottovalutare i segnali che sono arrivati dal primo turno sarebbe sbagliato».
È preoccupato per quello che è successo a Torino dove il Pd va sotto nei quartieri popolari ma è il primo partito nei quartieri borghesi?
«Quello che è successo a Torino è accaduto anche nelle grandi aree metropolitane. Da questo punto di vista si tratta di un voto politico. Non drammatizzerei, perché possiamo vincere tutti i ballottaggi, ma anche in vista del referendum costituzionale non si può ignorare quel che è successo».
Quale segnale è arrivato?
«Come in tutte le elezioni di medio termine, gli elettori hanno voluto inviare al governo un segnale chiaro: il disagio che si è accumulato in questi anni di crisi non è stato ancora completamente superato e ci vorrà ancora tempo per tornare ai livelli pre-crisi. C’è disperazione non solo negli strati sociali più poveri ma anche in tante famiglie che forse hanno meno problemi di reddito ma si sentono, comunque, marginali. Sono questi nostri cittadini che vivono sulla loro pelle una situazione di disuguaglianza. È qui che trovano spazio i populismi. E il Pd ha risposto con un segnale opposto: tutto va bene madama la marchesa».
Matteo Renzi, però, è impegnato a giocare la partita del referendum costituzionale...
«A Torino rischia di formarsi una grande alleanza trasversale che va dai centri sociali a Borghezio fino a Rosso: tutti contro Fassino e a favore di Appendino. In prospettiva, tutti contro Renzi. Dunque, per conquistare la maggioranza degli italiani è necessario che il premier, e il Pd, recuperino la tradizione riformista sul lavoro e il sociale, il “prenderci cura dei più deboli”. È stato fatto il Jobs Act bene, ma è solo un pezzo. Dobbiamo intervenire sulle diseguaglianze e accelerare il percorso sul reddito di accompagnamento per chi cerca lavoro o lo ha perso».
Ma il suo partito sembra preoccuparsi di altro, c’è chi chiede le dimissioni del premier...
«Non è il mio tema. Io dico che è arrivato un segnale dagli elettori, dal nostro mondo, e dobbiamo coglierlo. Tutti devono farlo e io vorrei che il riformismo del lavoro fosse al centro delle feste dell’Unità e degli appuntamenti delle varie correnti. Dobbiamo tutti tirare nella stessa direzione. Ma il partito non deve più essere il luogo dove si discute solo se è bianco o è nero. E questo non solo perché io sono granata».
Presidente, non ha risposto sulla questione del referendum...
«Guardi, io voterò sì. C’è una campagna elettorale da fare ma, sommessamente, inviterei a mettere mano ai temi che io ho evocato a partire dalla lotta alla diseguaglianza. Dobbiamo iniziare a ragionare su un progetto riformista che tenga insieme politiche fiscali e interventi di carattere sociale. Dobbiamo farlo adesso, dobbiamo farlo nelle sezioni, anche se non si chiamano più così. Dobbiamo farlo, punto. Le componenti trovino i modi e i tempi ma senza settarismi».
Presidente non è che i cittadini si sono stufati del sistema di potere del Pd? Lei non è stato uno degli artefici di quello che viene chiamato «sistema Torino»?
«Il cosiddetto sistema Torino non è la sfilata delle vecchie glorie, a cui posso appartenere anche io, ma un modello di cooperazione istituzionale, e fra pubblico e privato, che molte realtà ci invidiano e che ha permesso alla città di realizzare, ad esempio, i primi sgomberi dei campi dei rom con fondi annunciati nel 2009 dall’allora ministro leghista Maroni e poi arrivati nel 2012/2013. È il modello che ci ha permesso di realizzare le Olimpiadi in modo trasparente, nella piena legalità e con un avanzo finale di gestione di 10 milioni. Senza dimenticare la metropolitana».
Che cosa pensa di Chiara Appendino?
«Per principio, e per cultura, non parlo mai male di nessuno, tanto più nel mio ruolo istituzionale. Vedo però uno scarto fra la dimensione dei problemi che Torino ha davanti e la chiarezza dei programmi che la candidata M5S presenta al netto persino dell’esperienza per forza di cose limitata. La vicenda del Parco della Salute è emblematica: propongono di tornare al masterplan del 2011. Se vincono la città rischia di perdere 250 milioni di fondi statali».