La Stampa 11.6.16
Torino, la città divisa in due
È una sfida all’ultimo voto
La volata dei candidati tra mercati, nervosismo e polemiche I grillini: noi tranquilli, loro meno. La replica: cerchiobottisti
di Guido Boffo
«Non
abbiamo sondaggi», dicono dall’entourage di Chiara Appendino. E se
anche li avessero, non lo direbbero. Ma l’aria che tira a Torino, a poco
più di una settimana dal ballottaggio, è quella del fifty-fifty.
Cinquanta e cinquanta, la volata tra Fassino e la candidata grillina
sarà probabilmente decisa da una manciata di voti. In compenso, quello
che non ammetteranno mai nell’entourage del sindaco è che fossero
convinti di vincere al primo turno, e questo voltafaccia di una parte
della città (chiaramente non tutta) deve aver sorpreso anche Matteo
Renzi, così pressante nel persuadere Fassino a ricandidarsi.
Il
premier non si aspettava la replica della passeggiata di salute del
2011, quando il candidato di centrodestra venne doppiato (56 a 27), ma
nemmeno la battaglia campale di questi giorni. E se a Roma il mezzo
miracolo lo ha fatto Giachetti, il candidato del Pd, a restare in corsa;
se a Milano era scritto sulle guglie del Duomo che Sala e Parisi se la
sarebbero giocata all’ultima curva, in casa democratica la vera brutta
sorpresa è la roccaforte di (centro) sinistra improvvisamente
espugnabile. Torino, zitta zitta, potrebbe far pendere da una parte o
dall’altra la bilancia delle amministrative, salvando la faccia o
facendola perdere, con qualche contraccolpo a livello nazionale.
Espugnabile
non vuol dire che sarà espugnata e la combattività di Fassino, a
dispetto della cera, il suo infaticabile peregrinare tra mercati e
bocciofile, non lascia trasparire cedimenti. Ha steso anche una
contabilità spiccia di chilometri fatti (undicimila), persone incontrate
(centomila), paia di scarpe consumate (due), ovviamente da aggiornare
al rialzo. Ma il dubbio sì, quello si insinua, parente stretto del
dubbio che scalfisce l’apparente e imperturbabile calma dell’Appendino,
accolta da fiori e richieste di selfie nei mercati che anche lei
frequenta ormai quotidianamente, perché le sorti del voto si decidono
qui, tra un banco di frutta e verdura e uno di pesce.
In sintesi,
sia Fassino sia Appendino sentono il successo a un passo e la delusione
dietro l’angolo, sanno di poter vincere e temono di perdere. Questa è la
novità. Il ballottaggio è la grande livella, e se un algoritmo potesse
tradurre il sentimento diffuso in percentuali, sembrerebbe che i dieci
punti di distacco del primo turno siano stati polverizzati in pochi
giorni. Ma può diventare anche una grande macchina delle illusioni,
soprattutto in una città che evoca la «rivoluzione» - perché la vittoria
dei grillini altro non sarebbe - senza aver ancora deciso se
abbracciarla o boicottarla.
Torino è sospesa, e il grande
equilibrio si riflette nel nervosismo montante delle due squadre. La
soglia di suscettibilità è altissima. L’altro giorno Piero e Chiara si
sono incrociati per caso in un ristorante di San Salvario, il quartiere
della movida. Fassino era lì per un aperitivo elettorale, lei è entrata,
ha salutato, lui ha alzato la mano. Troppa freddezza. Dal fronte del
sindaco è intervenuto qualcuno, ha raggiunto i grillini: perché non ve
la stringete, la mano? Presto fatto. Fassino ai suoi, laconico: «È la
mia avversaria». Come un incidente di percorso, un imprevisto.
«Noi
siamo tranquillissimi, forse loro un po’ meno», abbozzano
dall’entourage dell’Appendino. Ma le polemiche sui rimborsi elettorali
all’azienda del marito in cui lavora non sono piaciute affatto e ieri
c’è stata la risposta piccata al sindaco di Bollengo, un Comune
dell’area metropolitana, che aveva scritto su carta intestata a 314
colleghi per invitarli a votare Fassino. Guai a confondere il «fair play
sabaudo» con il laissez-faire. In fondo quella dell’Appendino è una
lunga marcia, sette mesi e mezzo. C’era un gap di immagine da colmare: a
novembre era «solo» una consigliera comunale che in pochi avrebbero
riconosciuto per strada. Ora tutti sanno chi sia «l’alternativa Chiara»,
anche quelli - e non sono pochi - che non la voteranno. Per Fassino, in
compenso, è diventata una «cerchiobottista», per la pretesa di tenere
insieme centri sociali e leghisti. Così, sul crinale tra vittoria e
sconfitta, la campagna elettorale scivola dalla camomilla ai toni
ruvidi. E a Torino qualcuno, prima o poi, crollerà per una crisi di
nervi.