La Stampa 11.6.16
Negazionismo, dal Parlamento legge corretta
di Vladimiro Zagrebelsky
La
questione del negazionismo suscita forti contrapposizioni da quando
diversi Parlamenti, tra cui quello italiano, hanno preso a definire in
termini di genocidio l’uno o l’altro massacro subito da intere
popolazioni. In Europa si tratta in particolare del genocidio ebraico,
la Shoah, e di quello armeno. Al giudizio storico si è aggiunta la
previsione di una sanzione penale per chi neghi tali genocidi. Vedere
Parlamenti e maggioranze politiche decidere e per tutti stabilire la
verità di fatti storici e la loro natura ha subito allarmato gli storici
di professione e le loro associazioni.
Essi hanno messo in
guardia contro le verità di Stato e il rischio che venga impedita la
libertà della ricerca storica e negata la possibilità stessa della
continua revisione dei dati e giudizi acquisiti.
La preoccupazione
legata alla libertà della ricerca e della discussione storica, nonché
delle valutazioni politiche che vi sono collegate, è giustificata, ma
non è la sola. Si può negare un genocidio affermando che i fatti che lo
costituirebbero non sono mai avvenuti (o non sono avvenuti nei modi e
nelle dimensioni che si affermano), oppure ammettendo che i fatti sono
veri, ma non costituiscono genocidio. Le stragi di cui un popolo è stato
vittima sono genocidio, secondo i trattati internazionali che lo
definiscono, se chi le ha commesse è mosso dall’intenzione di
«distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale
o religioso, come tale». Il primo caso è quello che riguarda coloro che
negano la Shoah: evidente e provata essendo l’intenzione dei nazisti e
dei fascismi loro alleati di distruggere il popolo ebraico, i
negazionisti sminuiscono, mettono in dubbio, contestano i fatti. Il
secondo caso è quello del genocidio armeno ove i negazionisti più
accorti e le versioni ufficiali turche, non negano la realtà delle
migliaia di uccisi, ma rifiutano l’intenzione di sterminare il popolo
armeno. Non quindi di genocidio, ma di guerra tra popoli nemici si
sarebbe trattato. Chiara è la differenza tra i due diversi negazionismi.
Essa contribuisce a rendere arduo un problema difficilmente
affrontabile con lo strumento della legge penale, invece che con il
duttile ma non inutile mezzo della condanna e dell’isolamento etico e
sociale di chi nega l’evidenza dei genocidi. Questa differenza ha
recentemente richiamato la Corte europea dei diritti umani nel decidere
che aveva violato la libertà di espressione la condanna penale di un
attivista turco che in una serie di conferenze tenute in Svizzera, aveva
sostenuto che le stragi di armeni erano state momenti di guerra e non
strumento di intenzione genocidaria da parte delle autorità turche.
Stretto
dall’obbligo di dare esecuzione alla norma europea che impone agli
Stati membri dell’Unione di sanzionare chi neghi la realtà dei genocidi e
dalla preoccupazione di non interferire con la libertà delle opinioni e
della ricerca storica, il Parlamento italiano è ora giunto a una
soluzione che evita forse i maggiori problemi. La nuova norma penale non
punisce il negazionismo (la negazione della verità) in quanto tale, ma
ne fa motivo di aggravamento della pena quando si presenti come modalità
di quello che è il vero cuore del reato: la diffusione in modo
concretamente pericoloso di idee di superiorità o di odio razziale o
etnico, l’incitamento a commettere atti di violenza o di discriminazione
per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e l’istigazione a
commettere violenze o atti di provocazione alla violenza. E’ così fatta
salva la libertà di espressione e di ricerca storica e la negazione dei
genocidi diviene un modo e un’aggravante dell’istigazione alla violenza e
alla discriminazione razziale, etnica o religiosa. La punibilità
dell’istigazione dipenderà dalla concretezza dei comportamenti e dalle
espressioni usate. Le forme e le argomentazioni sono importanti, così
come l’incidenza della singola vicenda storica nel contesto. La
negazione di una lontana tragedia storica che ha colpito un popolo,
difficilmente suscita ora emozioni, capaci di spingere a discriminazioni
o violenze razziali o religiose. Diverso è il caso di chi nega la
realtà e la natura della Shoah. La negazione infatti si accompagna
sempre a forme di antisemitismo e entra profondamente in conflitto con
le radici etiche dell’Europa attuale, segnata dal crimine di cui è stata
capace. Giustamente quindi il legislatore ha espressamente nominato la
Shoah, non impegnandosi invece nell’elencare gli altri genocidi la cui
negazione può diventare un modo di istigazione all’odio e alla violenza
razziale o religiosa. Per questi altri genocidi la norma ora approvata
rinvia alla definizione contenuta nello statuto della Corte penale
internazionale, che fonda il crimine di genocidio sull’intenzione di
distruggere un intero popolo. Saranno i giudici a farsi storici e a
dover dire, volta per volta, se si tratta di genocidio e se negandolo si
commette istigazione all’odio o alla violenza. Il che resta una non
piccola difficoltà.