Il Sole Domenica 5.6.16
Neuroscienze e libero arbitrio
La corteccia del criminale
Gli psicopatici hanno uno scarso controllo del comportamento dovuto a danni alle aree prefrontali del cervello
di Pietro Pietrini
Se
la coscienza può essere definita come «tutto ciò che scompare quando
cadiamo in un sonno senza sogni» (Giulio Tononi), possiamo dire che il
libero arbitrio è «quel che scompare quando rispondiamo in maniera
automatica ai nostri istinti, alle nostre pulsioni, ai nostri bisogni».
Ogni definizione rischia certo di apparire riduttiva, trattandosi di una
questione che, nata all’alba del pensiero umano, via via nei secoli ha
coinvolto filosofi, scienziati e giuristi. Piuttosto, intendiamo offrire
una definizione operativa, prettamente neuroscientifica o neurologica
se si vuole, della questione, per comprendere meglio il contributo che
deriva dalle nuove conoscenze della ricerca neurobiologica e le sue
potenziali implicazioni.
La definizione proposta calza a pennello
con quello che, in natura, è senza dubbio il modello più chiaro di ciò
che è libero arbitrio o, per rimanere nella prospettiva della
definizione, di ciò che accade quando il libero arbitrio si dissolve
come neve al sole: la demenza frontale. Nella persona colpita da
decadimento frontale, qualunque pensiero prende voce, qualunque impulso
diventa atto, in un drammatico sonno della ragione che genera mostri del
nostro agire. Non vi è più alcuna capacità di modulare la risposta
all’istinto, qualsiasi esso sia e in qualsiasi momento esso si
manifesti. Il paziente si comporta senza vaglio alcuno del contenuto,
delle modalità o delle circostanze. Le pulsioni sono agite, hic et nunc.
La
storia della malattia che raccontano i famigliari ripropone da paziente
a paziente somiglianze impressionanti a quella che appare una vera e
propria trasfigurazione dell’essenza della persona. La moglie di un mio
paziente mi raccontò che suo marito era stata la persona più gentile,
affettuosa e attenta ai suoi bisogni e desideri che avesse mai
conosciuto; «ora - mi disse in lacrime - potrei cadergli morta ai piedi e
lui mi scavalcherebbe per andare al frigorifero ad ingozzarsi senza
fine».
L’antica questione di quanto sia veramente libero il nostro
agire ha ritrovato rinnovato vigore dal grande sviluppo delle
neuroscienze cognitive. A partire dalla metà degli anni ’80, le
cosiddette metodologie di neuroimaging hanno reso possibile una sempre
migliore definizione della meravigliosa architettura morfologica e
funzionale del cervello umano. Oggi possiamo visualizzare anche i più
fini dettagli della struttura encefalica, misurare lo spessore e la
densità neuronale nelle diverse aree della corteccia cerebrale,
identificare i fasci di fibre che, come tanti sottili cavi elettrici,
connettono tra loro le varie zone del cervello.
Non solo, con la
risonanza magnetica funzionale (fMRI), in un certo senso possiamo vedere
il cervello in azione, vale a dire cosa succede nel nostro cervello
quando compiamo una qualsiasi della miriade di attività quotidiane - da
percepire un raggio di luce o muovere un dito a prendere una decisione,
inibire un impulso o scegliere tra il bene e il male.
Tutte quelle
attività necessarie per mettere in atto un comportamento volontario -
pianificazione, processi decisionali, pensiero astratto, giudizio
morale, rispetto delle norme etiche, controllo degli impulsi - sono
intimamente connesse alla funzione della corteccia frontale - come ben
dimostrano le conseguenze di lesioni di questa area. Non a caso questa è
la parte del cervello che nel corso dell’evoluzione si è sviluppata di
più nell’essere umano rispetto agli altri animali.
Gli studi sulle
basi cerebrali che sottendono la capacità di agire nel rispetto delle
norme sociali e delle leggi, ripropongono la questione se gli
psicopatici criminali siano tali per una propria decisione consapevole o
siano invece così per la presenza di qualche alterazione morfologica o
funzionale nelle strutture cerebrali che regolano il comportamento
sociale, quel che gli anglosassoni definiscono come BAD, malvagio per
scelta, o MAD, cattivo perché malato.
Già Henry Maudsley,
psichiatra inglese della seconda metà del XIX secolo, pensava che gli
psicopatici fossero dei «ciechi emotivi», incapaci di sentire emozioni
così come un daltonico è incapace di percepire certe lunghezze d’onda
della luce o un individuo privo di orecchio musicale non riesce a
distinguere suoni di altezza diversa. Gli studi degli ultimi anni con
risonanza magnetica cerebrale ci mostrano che il cervello degli
psicopatici criminali ha un quinto in meno di neuroni nelle aree della
corteccia prefrontale deputate al controllo del comportamento rispetto
ai soggetti sani di controllo. Non solo, i fasci di fibre che collegano
l’amigdala - il computer emotivo del cervello - alla corteccia
orbito-frontale - che controlla l’espressione di aggressività - sono
anche essi significativamente ridotti negli psicopatici rispetto ai
soggetti sani.
Questi studi non ci dicono se l’individuo
psicopatico è tale perché ha queste alterazioni cerebrali o se ha queste
alterazioni cerebrali perché è psicopatico - il problema dell’uovo e la
gallina. Ma ci rivelano che ci sono delle differenze, che tali
rimangono anche dopo aver preso in considerazione possibili fattori
alternativi, quali abuso di alcool e droghe o traumi cranici, certamente
più frequenti negli psicopatici.
Le nuove acquisizioni delle
neuroscienze, unite a quelle della genetica comportamentale, hanno
implicazioni che vanno ben oltre il confine delle scienze mediche, e
toccano questioni essenziali che riguardano anche la filosofia, l’etica e
la giurisprudenza e persino la politica.
Torna alla mente quello
che Platone scriveva duemilacinquecento anni fa, quando le neuroscienze
non esistevano: «Perché malvagio nessuno è di sua volontà, ma il
malvagio diviene malvagio per qualche sua prava disposizione del corpo e
per un allevamento senza educazione, e queste cose sono odiose a
ciascuno e gli capitano contro sua voglia»(Timeo, 86e).
Comprendere la natura dell’umano agire, soprattutto «deviante», è una sfida che affascina da sempre.
Direttore, Scuola IMT Alti Studi, Lucca