Il Sole Domenica 5.6.16
Filosofia politica
Una società civile e religiosa
In
«Verbalizzare il sacro» Habermas dice che lo Stato liberaldemocratico è
secolare mentre la religiosità va sviluppata nella società
di Sebastiano Maffettone
Jürgen
Habermas è il più grande pensatore sociale e politico vivente. Tedesco,
professore emerito presso l’Università Goethe di Francoforte, è autore
prolifico oltre misura (credo che nessuno sia riuscito a leggere tutto
quello che ha scritto). La cosa notevole, però, è che a tanta quantità
Habermas aggiunge una profondità e direi una densità di pensiero
ineguagliabili. Ciò rende la lettura di ogni suo libro –anche per chi
come il sottoscritto lo conosce da decenni – un’impresa ardua. Quasi
sempre, però, lo sforzo viene ricompensato da quanto si apprende
leggendolo. Questa premessa sarebbe necessaria per tutte le opere del
nostro, ma lo è particolarmente per questo suo volume dedicato a
Verbalizzare il sacro.
Ciò per almeno tre ordini di motivi: (i) il
tema dell’uso pubblico della religione è centrale nell’ambito del
pensiero politico contemporaneo; (ii) il libro in questione è un misto
di scritti programmatici e di scritti di occasione (risposte ai critici,
interviste, commenti ad altri autori); (iii) nelle tre parti in cui il
volume e diviso il tema dell’uso pubblico della religione appare
trattato in maniera diversa, anche se ovviamente con sovrapposizioni non
banali.
Di questi tre punti, ritengo si possa evitare di
discutere il secondo che pure rappresenta una difficoltà per il lettore,
anche perché – come nel caso dell’intervista a Mendieta – Habermas
riesce talvolta negli scritti minori a dire le stesse cose che sostiene
in quelli maggiori ma in maniera più esplicita e diretta. Restano i
punti (i) e (iii), che sono tra l’altro collegati tra loro. Cominciamo
dall’uso pubblico della religione in quanto tale, inteso come
possibilità di adoperare temi e linguaggi di ispirazione religiosa
nell’ambito del dominio politico.
Da questo punto di vista,
Habermas ripete all’incirca quanto sostenuto da Rawls in Liberalismo
politico: lo stato liberaldemocratico è e deve essere secolare, ma lo
stesso non vale per la società civile. Quest’ultima si rivela spesso e
volentieri permeata di religiosità, e non si può pretendere che le
visioni religiose dei cittadini siano oscurate in politica. Questa
situazione di fatto rende necessaria una qualche forma di traduzione del
discorso religioso quando diventa istituzionale. Cosa che vale per
altro anche per il discorso laico ideologicamente interpretato.
Fin
qui, dunque, niente di nuovo sotto il sole, se non la consueta capacità
di Habermas di esplorare il problema in tutta la sua complessità,
facendo per esempio ricorso anche al lavoro dei teologi. Le cose si
complicano, invece, quando prendiamo sul serio gli altri due approcci
che Habermas affronta con l’usuale dovizia di argomenti. Si tratta della
teologia politica alla Carl Schmitt, su cui il nostro è sostanzialmente
liquidatorio (definisce Schmitt «il giurista del Führer»).
Interessantissimo, ma oltremodo complesso, è infine il terzo approccio
alla questione, sarebbe a dire il modo in cui il rito di ispirazione
religiosa apre a quel mondo della vita da cui dipendono i processi di
identità individuali e collettivi. Su questo punto l’invito è a una
riflessione ulteriore che potrebbe coinvolgere il meglio del pensiero
politico anche in Italia.
Jürgen Habermas,Verbalizzare il sacro: sul lascito religioso della filosofia , Laterza, Roma-Bari, pagg. 316, € 28