Il Sole Domenica 5.6.16
Elvio Fachinelli (1928-1989)
La sinistra prigioniera dell’Io
di Vittorio Giacopini
Lo
scrive quasi per inciso, velocemente. Nel ’73, ragionando della débâcle
della “sinistra” di fronte al Vietnam, Elvio Fachinelli chiarisce di
mettersi «dal punto di vista del futuro», che è «ciò che conta», mentre,
nell’immediato, prevalgono la lingua di legno dell’ideologia, i motivi
«di auto apologia anche nella sconfitta», la consolazione da niente
dell’estremismo facile, il moralismo ricattatorio, gli schemi sterili.
Di fronte alle bombe americane e allo sterminio, l’elusione del tema
“privato” della responsabilità individuale da dichiarazione retorica, e
politica, scadeva in alibi e apatia, falsando tutto. Non stava prendendo
le distanze dalla sua parte politica: decifrava i segnali del presente,
giudicava. Da psicoanalista diffidente anche della sua istituzione (e
di ogni istituzione, semplicemente), Fachinelli andava ancora una volta
diritto “al cuore delle cose”, strappando maschere. L’esempio dei
marines americani era, appunto, un esempio, o meglio un sintomo. Non
erano «bestie assetate di sangue» ma gente normale, giovani «normali ai
quali nessuno ha insegnato come compito primario il rifiuto di
obbedienza ai feticci». Così, «dal punto di vista del futuro», coglieva
un passaggio di fase capitale e la fine di un decennio confuso, ma
bellissimo.
Con gli anni Settanta, si inaugura una nuova fase di
controllo – di dominio - e la mancata capacità della sinistra di leggere
nella Storia un inesauribile, esasperante intreccio di vicende
individuali e collettive che ha creato un effetto di delega suicida.
«Come una volta si concedeva il cielo ai teologi, la sinistra ha
concesso ai teologi dell’Io il problema della soggezione e della
ribellione al potere».
Ecco, in questi suoi scritti politici
(bellissimi), Fachinelli va effettivamente al cuore delle cose proprio
scagliandosi contro i “teologi dell’Io”, questi sciamani, per tornare a
mettere in primo piano quell’intreccio di piani labirintico che lega i
fantasmi dell’Io al mondo e alla Storia e persino nella Storia e nel
mondo genera (altri) fantasmi e blocchi e strozzature. Era il suo modo
di fare politica e psicoanalisi, leggere il tempo. In questa raccolta di
saggi, articoli di giornali e interviste, editoriali, ci sono quasi
trent’anni di Storia e una “lezione” di metodo e di sguardo
inarrivabile. Nella prefazione al volume Dario Borso nota che forse il
«paziente più complicato» di Fachinelli «fu l’Italia» e coglie nel
segno. L’impressione – a leggere seguendo l’ordine temporale, anno per
anno – è semplicemente raggelante.
La lunga analisi della società
italiana che Fachinelli conduce sulle pagine dei «Quaderni Piacentini», o
dell’«Erba Voglio», o dalle più posate colonne del «Corriere della
Sera», o dell’«Espresso» radiografa una chiusura - una progressiva
claustrofilia – che mette i brividi. Energie, pulsioni, istanze di
liberazione e autonomia finiscono per svilirsi e impallidiscono. Lui non
è che se ne lamentasse, ci ragionava. Nel ’68 aveva ritrovato al cuore
della “protesta” giovanile un’istanza di desiderio dissidente, cioè
senza oggetto, capace quindi di scarto liberatorio nei confronti del
reale, del potere (i giovani – diceva – si scagliano contro «un’immagine
di società che mentre promette una sempre più completa liberazione dal
bisogno, nello stesso tempo minaccia una perdita dell’identità
personale»). Oltre vent’anni dopo, ai tempi di Chernobyl, questo impulso
di sovversione appare riassorbito, “recuperato”. «La novità più
caratteristica, per un analista, di questa epoca dell’inquinamento, è la
corrispondenza, a volte la coincidenza puntuale, tra alcuni dei più
profondi fantasmi individuali e i tratti tipici dell’epoca stessa». Tra
l’Io e la Storia, non c’è più margine di gioco, e non c’è più scarto.
Elvio Fachinelli, Al cuore delle cose. Scritti politici (1967-1989) , DeriveApprodi, Roma,
pagg.250, € 18