lunedì 6 giugno 2016

Il Sole Domenica 5.6.16
Elvio Fachinelli (1928-1989)
La sinistra prigioniera dell’Io
di Vittorio Giacopini

Lo scrive quasi per inciso, velocemente. Nel ’73, ragionando della débâcle della “sinistra” di fronte al Vietnam, Elvio Fachinelli chiarisce di mettersi «dal punto di vista del futuro», che è «ciò che conta», mentre, nell’immediato, prevalgono la lingua di legno dell’ideologia, i motivi «di auto apologia anche nella sconfitta», la consolazione da niente dell’estremismo facile, il moralismo ricattatorio, gli schemi sterili. Di fronte alle bombe americane e allo sterminio, l’elusione del tema “privato” della responsabilità individuale da dichiarazione retorica, e politica, scadeva in alibi e apatia, falsando tutto. Non stava prendendo le distanze dalla sua parte politica: decifrava i segnali del presente, giudicava. Da psicoanalista diffidente anche della sua istituzione (e di ogni istituzione, semplicemente), Fachinelli andava ancora una volta diritto “al cuore delle cose”, strappando maschere. L’esempio dei marines americani era, appunto, un esempio, o meglio un sintomo. Non erano «bestie assetate di sangue» ma gente normale, giovani «normali ai quali nessuno ha insegnato come compito primario il rifiuto di obbedienza ai feticci». Così, «dal punto di vista del futuro», coglieva un passaggio di fase capitale e la fine di un decennio confuso, ma bellissimo.
Con gli anni Settanta, si inaugura una nuova fase di controllo – di dominio - e la mancata capacità della sinistra di leggere nella Storia un inesauribile, esasperante intreccio di vicende individuali e collettive che ha creato un effetto di delega suicida. «Come una volta si concedeva il cielo ai teologi, la sinistra ha concesso ai teologi dell’Io il problema della soggezione e della ribellione al potere».
Ecco, in questi suoi scritti politici (bellissimi), Fachinelli va effettivamente al cuore delle cose proprio scagliandosi contro i “teologi dell’Io”, questi sciamani, per tornare a mettere in primo piano quell’intreccio di piani labirintico che lega i fantasmi dell’Io al mondo e alla Storia e persino nella Storia e nel mondo genera (altri) fantasmi e blocchi e strozzature. Era il suo modo di fare politica e psicoanalisi, leggere il tempo. In questa raccolta di saggi, articoli di giornali e interviste, editoriali, ci sono quasi trent’anni di Storia e una “lezione” di metodo e di sguardo inarrivabile. Nella prefazione al volume Dario Borso nota che forse il «paziente più complicato» di Fachinelli «fu l’Italia» e coglie nel segno. L’impressione – a leggere seguendo l’ordine temporale, anno per anno – è semplicemente raggelante.
La lunga analisi della società italiana che Fachinelli conduce sulle pagine dei «Quaderni Piacentini», o dell’«Erba Voglio», o dalle più posate colonne del «Corriere della Sera», o dell’«Espresso» radiografa una chiusura - una progressiva claustrofilia – che mette i brividi. Energie, pulsioni, istanze di liberazione e autonomia finiscono per svilirsi e impallidiscono. Lui non è che se ne lamentasse, ci ragionava. Nel ’68 aveva ritrovato al cuore della “protesta” giovanile un’istanza di desiderio dissidente, cioè senza oggetto, capace quindi di scarto liberatorio nei confronti del reale, del potere (i giovani – diceva – si scagliano contro «un’immagine di società che mentre promette una sempre più completa liberazione dal bisogno, nello stesso tempo minaccia una perdita dell’identità personale»). Oltre vent’anni dopo, ai tempi di Chernobyl, questo impulso di sovversione appare riassorbito, “recuperato”. «La novità più caratteristica, per un analista, di questa epoca dell’inquinamento, è la corrispondenza, a volte la coincidenza puntuale, tra alcuni dei più profondi fantasmi individuali e i tratti tipici dell’epoca stessa». Tra l’Io e la Storia, non c’è più margine di gioco, e non c’è più scarto.
Elvio Fachinelli, Al cuore delle cose. Scritti politici (1967-1989) , DeriveApprodi, Roma,
pagg.250, € 18