Il Sole Domenica 12.6.16
La guerra in Etiopia
L’impero sui colli di Roma
Ottanta anni fa la brutale invasione di Addis Abeba: sogno di «grandeur» del duce e di tanti italiani che vi credettero
di Emilio Gentile
Scrive
Bernard Droz, storico francese della decolonizzazione: «La
valorizzazione ideologica e affettiva degli imperi coloniali raggiunge
il suo apice durante gli anni Trenta, congiunta alle forme più diverse,
rinnovate dal progresso delle tecniche di propaganda. La Gran Bretagna
eccelle nell’organizzare immense e sontuose manifestazioni di unanimismo
imperiale, in occasione di un giubileo, di un’incoronazione o della
Giornata dell’Impero, il 24 maggio, anniversario della nascita della
Regine Vittoria. Le piccole monarchie del Belgio e dell’Olanda sono
costrette a una maggiore discrezione, ma la Francia, all’occasione,
celebra i fasti repubblicani assegnando uno spazio sempre più ampio alle
truppe d’oltremare nelle parate del 14 luglio. In forma autonoma o
inserite nelle Esposizioni universali, come quella di Parigi nel 1937,
le Esposizioni coloniali, affiancate da un’abbondante documentazione e
dalla stampa, riscuotono un immenso successo di pubblico dove la
curiosità venata di esotismo compete con l’orgoglio del “genio
civilizzatore” proprio di ogni nazione». (Histoire de la décolonisation
au XXe siècle, Seuil 2006)
È opportuno aver presente questa
situazione storica se si vuol comprendere l’entusiasmo col quale gli
italiani accolsero ottanta anni fa la conquista di un impero coloniale,
ottenuto con una spietata guerra contro l’Etiopia, uno degli ultimi due
Stati africani – l’altro era la Liberia – non ancora assoggettati al
dominio imperialista. La premeditata aggressione italiana era stata
annunciata dal duce dal balcone di Palazzo Venezia la sera del 2
ottobre, davanti a una folla oceanica radunata nella piazza romana e
nelle piazze di tutta l’Italia: «Venti milioni di uomini - tuonò
Mussolini – occupano in questo momento le piazze d’Italia […]La loro
manifestazione deve dimostrare al mondo che Italia e fascismo
costituiscono una identità perfetta, assoluta, inalterabile».
L’aggressione iniziò il giorno successivo. Il duce ordinò ai suoi
generali di condurre la guerra con largo dispiego di mezzi e di armi,
compresi i gas asfissianti, per ottenere una rapida vittoria. E così
avvenne: il 5 maggio 1936, le truppe italiane al comando del generale
Pietro Badoglio entrarono in Addis Abeba, capitale dell’impero etiopico,
mentre l’imperatore Hailé Selassié riuscì a fuggire. Dal balcone di
Palazzo Venezia, la sera del 5 maggio, Mussolini annunciò «al popolo
italiano e al mondo che la guerra è finita». E dallo stesso balcone, la
sera del 9 maggio 1936, il duce salutò «la riapparizione dell’impero sui
colli fatali di Roma».
Mussolini considerava la conquista
dell’impero il suo massimo successo politico e militare. Non solo: essa
fu anche il massimo successo propagandistico del fascismo all’interno,
perché mai, nei venti anni di incontrastato dominio totalitario, il
regime e soprattutto il duce riscossero un consenso altrettanto
entusiastico dalla quasi totalità della popolazione. Lo ricordava lo
stesso Mussolini, in un libro dedicato al figlio Bruno morto in un
incidente aereo nell’agosto 1941: «Mai una guerra fu più sentita di
quella. Mai entusiasmo fu più sincero. Mai unità di spiriti più
profonda.[…] Tre adunate improvvise di popolo come non si ebbero mai
nella storia e poi la notte trionfale del 9 maggio, la più grande
vibrazione dell’anima collettiva del popolo italiano». Ma quando il duce
scriveva queste parole, l’Italia era da due anni coinvolta nella
Seconda guerra mondiale, e l’impero era già nuovamente sparito dai colli
fatali, dopo cinque anni esatti: il 5 maggio 1941, le truppe
britanniche vittoriose avevano ricondotto ad Addis Abeba l’imperatore
Hailé Selassié.
La nostalgica descrizione mussoliniana del
sentimento degli italiani di fronte alla conquista dell’impero
corrispondeva tuttavia alla realtà, come hanno confermato gli studi
sull’opinione pubblica durante il regime. Il più recente, dedicato da
Marco Palmieri proprio al periodo della guerra d’Etiopia (L’ora solenne,
Baldini & Castoldi 2015), mostra, con una varia documentazione
inedita, «quanto fosse ampio e radicato il consenso e l’entusiasmo degli
italiani di fronte alla decisione di Mussolini di invadere l’Etiopia»:
l’uno e l’altro confermati, dopo varie oscillazioni dubbiose dovute
all’andamento della guerra, dalle esplosioni di giubilo all’annunzio
della vittoria e della riapparizione dell’impero sui colli fatali.
Entusiasta fu anche l’adesione alla guerra coloniale di gran parte delle
gerarchie ecclesiastiche, dagli alti prelati ai modesti parroci. E non
pochi furono gli antifascisti, anche in esilio, che si ricredettero
nella loro avversione per il duce e per spirito patriottico si sentirono
uniti a tutti gli altri italiani nell’auspicare la vittoria. Milioni di
uomini e donne donarono la fede d’oro alla patria. Su 419 senatori, 414
offrirono la loro medaglietta, fra i quali l’antifascista Benedetto
Croce. Persino i comunisti constatarono che la propaganda fascista per
l’impero aveva contagiato larghi ceti operai, specialmente giovanili. Ma
l’entusiasmo e l’esaltazione popolari, per quanto genuini ed estesi,
non furono durevoli e si mutarono presto in delusione, malcontento e
soprattutto timori per le nuove avventure militari del duce. «A livello
di massa, – ha osservato Renzo de Felice – il coinvolgimento psicologico
dei ceti popolari e soprattutto di quelli operai nella guerra d’Etiopia
non equivaleva a un pieno consenso politico verso il regime fascista”
(Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Einaudi 1974).
L’effimera
durata del nuovo impero italiano e il naufragio delle ambizioni
imperiali del duce con la disfatta subita dall’Italia nella Seconda
guerra mondiale, hanno indotto gli storici a considerare la conquista
dell’Etiopia un’impresa coloniale anacronistica, compiuta quando ormai
l’era dell’imperialismo e del colonialismo volgeva al tramonto. Una
simile interpretazione, valida se formulata alla luce di quanto è
accaduto dopo la Seconda guerra mondiale, è però inadeguata a
comprendere come mai gli italiani fossero stati coinvolti con tanto
entusiasmo nella conquista coloniale e nella fondazione di un nuovo
impero italiano. In realtà, come abbiamo visto all’inizio, negli anni
Trenta nessuna delle potenze coloniali europee, neppure quelle che si
opposero all’aggressione italiana all’Etiopia, come l’Inghilterra e la
Francia, considerava anacronistico il proprio impero. E combatterono
nella Seconda guerra mondiale, e a lungo anche dopo, per conservarlo.
Marco Palmieri, L’ora solenne. Gli italiani e la guerra d’Etiopia , Baldini & Castoldi, Milano,
pagg. 320, € 18