Il Sole Domenica 12.6.16
Storia della Repubblica / 2
Donne costituenti e diritti
di Eliana Di Caro
Il
10 marzo 1946 le donne italiane compiono un gesto rivoluzionario. È
domenica, si mettono in fila accanto a mariti, fratelli o sconosciuti
per prendere una scheda sulla quale tracceranno una X, esercitando per
la prima volta lo stesso diritto fondamentale dei vicini di coda. Non
c’è più distinzione di sesso nel partecipare alla cosa pubblica,
attraverso il più classico degli strumenti: il voto.
Meno di tre
mesi dopo, il 2 giugno, vanno ancora alle urne per l’appuntamento che
abbiamo tutti appena festeggiato e che Patrizia Gabrielli, docente di
Storia contemporanea e di genere all’Università di Siena-Arezzo, rievoca
in Il primo voto. Lo fa marcando il salto di qualità, il passaggio
dalle amministrative alle politiche e, soprattutto, dalla monarchia alla
Repubblica. Una rivoluzione nella rivoluzione.
L’autrice ricorda
tutto questo facendo rivivere quell’atmosfera, descrivendo l’approdo
delle 21 costituenti al più alto livello della politica accanto a 535
uomini che le guardavano con un certo paternalismo. Preziosi sono i
resoconti che calano il lettore nel dibattito di allora e dai quali
emerge la tenacia delle protagoniste, destinate a scrivere la storia dei
diritti delle donne. Maria Federici, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Lina
Merlin, Teresa Noce, per nominarne alcune, sono state determinanti nel
disegnare l’architrave costituzionale che sancisce l’equità e la pari
dignità uomo-donna. Basti pensare alla specificazione “di sesso”
aggiunta nell’articolo 3 («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e
sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
di lingua...»), che si deve alla cocciutaggine di Lina Merlin. O alla
legge sulla maternità, una delle più avanzate del mondo, che porta la
firma di Teresa Noce. O alla lunga e animata discussione dell’Assemblea
sulla famiglia, di cui si definiscono i principî cardine, poi sviluppati
nella riforma del 1975 per la quale fu in prima linea Nilde Iotti.
Proprio su quest’ultimo tema, sottolinea l’autrice, le divergenze furono
forti tra i costituenti e all’interno della stessa «pattuglia
femminile»: la famiglia rimane centrale, nel dopoguerra,
indipendentemente dai colori politici. Il concetto dell’indissolubilità
del matrimonio, in un Paese come l’Italia, non sembrava superabile e
invece per soli tre voti (complice una sospetta assenza di 32
democristiani) ne fu votata l’estromissione dalla Carta, aprendo la
strada al percorso per il divorzio che nel 1970 adeguerà la nostra
legislazione a quella dei maggiori Paesi occidentali. Ma anche quando
comuniste, cattoliche o socialiste erano in disaccordo, prevaleva la
tensione verso una sintesi, un obiettivo comune. Fu così per «diritto al
lavoro e accesso alle professioni, parità salariale e garanzie alla
lavoratrice madre», scrive Gabrielli nel sottolineare l’approccio delle
costituenti: «ribadirono concordi che non si trattava di definire norme
di tutela, ispiratrici dell’assistenzialismo fascista, quanto di fondare
un nuovo diritto».
Utili, nella seconda parte del volume, i brevi
profili biografici di ciascuna di queste donne oggi così poco
conosciute (14 di loro laureate, altre operaie e impiegate e dunque
direttamente conoscitrici di molti problemi e iniquità) cui tutti siamo
debitori.
Patrizia Gabrielli, Il primo voto. Elettrici ed elette , Castelvecchi, Roma, pagg. 223, € 18,50