Il Sole 8.6.16
Migranti, i piani di carta dell’Europa
Naturalmente è presto per fare del trionfalismo e dire che il “migration compact” all’italiana fa scuola in Europa.
di Adriana Cerretelli
È
presto perché l’Europa dei 28 è un oggetto complesso che parla molto,
decide poco e ancora meno in modo solidale, e agisce secondo
doppiopesismi funzionali alle esigenze di alcuni ma non di tutti i suoi
Paesi membri in difficoltà. Però è un fatto che la Commissione Ue ieri
ha accolto la proposta che il governo Renzi ha presentato nell’aprile
scorso e prevede di stipulare con i Paesi dell’Africa patti bilaterali,
imperniati sullo scambio tra controllo dei flussi e aiuti europei.
In breve, una replica del modello collaudato (per ora con successo) con la Turchia.
Per
rendere credibile la svolta da una politica in bilico tra pura
passività e tardivo containment a una strategia attiva di investimento
in una partnership Ue-Africa costruttiva nel reciproco interesse,
Bruxelles ha messo sul tavolo anche un sacco di soldi: 8 miliardi per i
prossimi 5 anni e altri 62 miliardi nel lungo periodo.
D’altra
parte se è vero che i flussi dei migranti, soprattutto economici e
soprattutto dall’Africa, sono e saranno la «nuova normalità» del futuro
in Europa e nel mondo, dove da gestire ci sono già 70 milioni di
rifugiati, meglio risolvere il problema all’origine invece di reprimerlo
una volta che approda in casa e gli egoismi nazionali ne impediscono
una ragionevole soluzione spartitoria. Meglio anche evitare i salvataggi
e gli inevitabili morti in mare smettendo di foraggiare con complice
inerzia gli incassi miliardari dei trafficanti della disperazione.
Se
dubbi e scetticismo salutano la nascita del nuovo paradigma europeo non
è perché manchi di logica o la sua filosofia non sia condivisibile. Al
contrario. La cautela è d’obbligo perché le proposte concrete di
Bruxelles arriveranno soltanto in autunno, la volontà politica degli
Stati membri di attuarle è tutta da verificare (e i precedenti non
promettono bene) e infine perché l’impegno finanziario sbandierato ieri
con pompa per ora è quasi tutto di carta.
Negli 8 miliardi di
aiuti a breve, i soldi veri sono solo quelli del bilancio Ue ma di nuovi
ci sono soltanto 500 milioni, il resto viene da fondi riciclati e
riallocati da altre voci di spesa. Altri 500 dovrebbero arrivare dai 28
Paesi dell’Ue. Nel totale di 8 miliardi compare tra gli altri anche il
Trust Fund per l’Africa, varato nel novembre scorso al vertice della
Valletta: 3,6 miliardi, metà dalle casse di Bruxelles, l’altra dagli
Stati membri che per ora hanno erogato… 81 milioni.
Peggio va per
la roboante promessa da 62 miliardi: l’idea è di ricalcare il piano
Juncker in formato investimenti extra-Ue, partendo da 3,1 miliardi per
farli lievitare fino a 31, giocando su una leva da 1 a 10. Il resto dei
62 annunciati dovrebbe venire da un’identica operazione costruita su
altri 3,1 miliardi di capitale fornito però dagli Stati membri, per
farlo crescere a 31 grazie allo stesso fattore moltiplicatore.
La
Turchia, che pure già ha ridotto al lumicino gli sbarchi in Grecia (1,3
milioni di rifugiati nel 2015) e reso così meno incerto il futuro
politico di Angela Merkel in Germania, pare che ancora non abbia visto
granché dei 3 miliardi che l’Ue le ha promesso in marzo, impegnandosi a
raddoppiarli se necessario.
Con queste premesse, e ammesso che
alla fine diventi davvero realtà, la nuovo politica migratoria europea
potrebbe trasformarsi in un boomerang, irritando e deludendo le
aspettative dei Paesi con cui intende negoziare il controllo dei flussi:
Libano e Giordania per cominciare, Tunisia, Libia, Etiopia, Niger,
Nigeria, Mali e Senegal a seguire.
L’amara verità è un’altra:
l’Italia ha un bisogno disperato e urgente del migration compact perché
la geografia la espone in prima linea ai flussi dal Mediterraneo e la
cintura delle Alpi sembra fatta apposta per soffocarla da Nord. L’Europa
ne ha molto meno, visto che l’accordo con la Turchia, combinato con la
chiusura della rotta dei Balcani, per ora le garantisce uno splendido
isolamento, al riparo anche da imprevisti futuri grazie alla barriera
del Brennero sempre pronta a scattare.
Sono sicurezze momentanee e
illusorie di fronte a un fenomeno di proporzioni bibliche. Un po’ di
lungimiranza generale dovrebbe dunque spingere tutti ad agire d’anticipo
e con serietà nell’interesse generale. Ma con i populismi e le
insurrezioni anti-migranti che mordono quasi ovunque, è difficile
immaginare che i governi europei riescano a guardare oltre l’orizzonte
dell’ultimo sondaggio di opinione. La condanna dell’Italia alla
solitudine avrebbe però un prezzo elevato, compreso il tramonto di
Schengen. Tutto sommato per l’Europa meglio provare, per una volta, a
decidere senza aspettare il peggio.