Il Sole 8.6.16
Corte Ue.
Ingiustificata la detenzione di cittadini extra Ue per il solo transito senza regolare permesso
Gli Stati devono procedere con celerità ai rimpatri previsti dalla direttiva
di Marina Castellaneta
No
alla detenzione di cittadini extra Ue che entrano in modo irregolare,
attraverso una frontiera interna, in uno Stato membro. Questo perché gli
Stati devono procedere con rapidità ai rimpatri per non vanificare
l’obiettivo della direttiva 2008/115/Ce. È la Corte di giustizia
dell'Unione europea a stabilirlo con la sentenza depositata ieri
(C-47/15) destinata ad avere effetti ad ampio raggio
sull’interpretazione delle normative degli Stati membri in materia di
immigrazione. A rivolgersi a Lussemburgo, la Corte di Cassazione
francese che ha chiesto, prima di pronunciarsi, alcuni chiarimenti ai
colleghi Ue sulla direttiva 2008/115 relativa alle norme e procedure
comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi
terzi il cui soggiorno è irregolare, recepita in Italia con il decreto
legge n. 89/2011 (convertito con legge n. 129).
Questi i fatti.
Una cittadina del Ghana si era diretta dal Belgio verso il Regno Unito,
ma si era fermata nel punto di ingresso francese, al tunnel della
Manica. Ne era seguito il fermo della polizia d'oltralpe per ingresso
irregolare e un successivo trattenimento amministrativo in strutture non
penitenziarie. La donna aveva fatto ricorso, respinto sia in primo che
in secondo grado. La Cassazione ha chiamato in causa la Corte Ue.
Prima
di tutto, gli eurogiudici hanno accertato, ampliando il perimetro della
direttiva, che le norme Ue sui rimpatri vanno attuate anche se il
cittadino extra Unione entra in uno Stato dello spazio Schengen passando
attraverso un Paese nella stessa situazione e diretto verso uno Stato
Ue, ma extra Schengen. Poco importa – osserva la Corte – che il migrante
irregolare si trovi in una situazione di transito o che sia sottoposto a
un procedimento di riammissione nello Stato Ue di provenienza perché è
sufficiente che sia in uno stato di irregolarità.
Basta, così, per
applicare la direttiva, il transito senza che sia necessaria la
condizione della durata minima o della permanenza sul territorio.
Ristretto il margine di intervento degli Stati che non possono sottrarsi
all’applicazione della direttiva solo per il carattere temporaneo o
transitorio della sosta, la Corte ha limitato il potere degli Stati
nell’individuazione di sanzioni per chi viola le regole di ingresso e
soggiorno. Già in passato, Lussemburgo aveva stabilito che la previsione
del reato di soggiorno illegale è contraria alla direttiva (sentenza
Achughbabian) e, con riguardo all’Italia, nella pronuncia El Dridi, che
la detenzione allora prevista nei confronti di cittadini extra Ueche non
rispettavano un provvedimento di espulsione, è incompatibile con la
direttiva (di qui le modifiche alle norme italiane).
In quest’occasione, Lussemburgo fa un passo in più e boccia anche il reato di ingresso irregolare e la detenzione.
Le
nozioni di soggiorno e di ingresso irregolare – scrive la Corte - «sono
strettamente connesse» e, quindi, gli Stati «non possono consentire, in
conseguenza del mero ingresso irregolare» che poi, inevitabilmente,
porta a un soggiorno irregolare, la reclusione di cittadini di Paesi
terzi per i quali deve scattare la procedura di rimpatrio. In caso
contrario, sarebbe compromesso l’obiettivo della direttiva e il suo
effetto utile, con inevitabili ritardi. Non solo. Se è in corso un
procedimento di riammissione in uno Stato Ue dal quale il cittadino
extra Ue proviene, anche quello lo Stato deve applicare la direttiva.
Tutto all’insegna della massima celerità nel segno di un trasferimento
rapido «verso lo Stato membro responsabile della procedura di
rimpatrio». È, quindi, evidente che infliggere o eseguire una pena
detentiva, prima del trasferimento, ritarda l’effettivo allontanamento
con pregiudizio della direttiva. Resta ferma, invece, la facoltà, per
gli Stati membri, di reprimere con la reclusione reati diversi da quelli
relativi al solo ingresso irregolare.