Il Sole 8.6.16
I guasti del populismo
Il sonnambulo inglese che cammina verso Brexit
di Leonardo Maisano
Lo
spettro sui cieli di Londra ha la forma di un populismo senza bandiere,
prodotto meticcio di una destra di stampo ultra-conservatore e di una
sinistra tanto scomposta quanto estrema. Il concetto, come vedremo, è
meno banale di quanto possa apparire ed è all’origine di una crescita
del consenso per Brexit che va oltre quanto dicono i sondaggi, ma è ben
rappresentato dalle oscillazioni della sterlina, in rapido declino dopo
il rimbalzino di maggio. Non scopriamo ora, per intenderci, che la
demagogia illumina il cammino dei brexiters, ma le radici di tanta
resistenza non sono imputabili soltanto all’euroscetticismo, male
endemico in un popolo afflitto da una percezione di sé, nel mondo di
oggi, a dir poco eccessiva. Le ragioni di tanta miopia e il ruolo
giocato dai media nell’acuirla - tanto da quelli popolari quanto da
quelli di qualità - saranno tema di future considerazioni. Oggi, dal
regno di Elisabetta II e dall’Inghilterra in particolare esce
un’istantanea inattesa e largamente sottovalutata.
A due settimane
dal referendum, Brexit appare un rischio superiore di quanto fosse un
mese fa, a conferma che il dibattito è impermeabile alla logica dei
numeri e all’evidenza dei fatti. Il fronte Leave non è mai riuscito, sul
punto economico, a tracciare un quadro se non convincente almeno
sostenibile. Non ha neppure scalfito la trincea alzata da Fmi, Ocse,
Banca d’Inghilterra, Tesoro di Sua Maestà, per citare solo le ricerche
delle istituzioni più celebrate, compatte nel denunciare i rischi del
divorzio anglo-europeo. Leave sta vincendo, si obietterà, sull’altro
grande capitolo del confronto, l’immigrazione intraeuropea, malamente
gestita dal premier David Cameron, generoso nello spendersi con promesse
insostenibili. È vero, ma non basta questo per spiegare la tenuta, anzi
la spinta dei brexiters.
Sull’umore popolare grava, in realtà,
una voglia anti-sistema che va molto oltre i temi-chiave del dibattito,
siano essi le conseguenze sull’economia o le politiche
sull’immigrazione. Sta emergendo una volontà di frattura che sfugge alla
solidità dei numeri, alla linearità logica del contraddittorio,
all’essenza stessa del voto.
La voglia di un pronunciamento
irrazionale per punire l’establishment, per colpire i banchieri, per
frenare le dinamiche globali, cresce come mai prima d’ora non appena si
esce dal mondo ovattato di Londra. La capitale stessa, idrovora che
succhia le risorse di un Paese intero, è spesso percepita nelle marche
del Regno come il nemico da umiliare. È una resistenza spontanea e
disorganizzata che abbiamo avvertito emergere con forza fra le voci
raccolte lontano dalla City e che si somma all’eurofobia dell’Ukip,
all’euroscetticismo tradizionale - quello endemico, appunto – di tanti
conservatori e di pochi laburisti britannici. A tutto ciò si deve
aggiungere la possibilità che molti elettori vadano alle urne con lo
stesso spirito con cui vanno alle amministrative o alle suppletive,
ovvero con il desiderio esplicito di punire il governo in carica. Se il
referendum di adesione è interpretato come mid-term test per David
Cameron c’è, infatti, da aspettarsi un’impennata ulteriore del “no” a
Bruxelles. Un rischio aggravato dall’habitus mentale dell’elettore
britannico, uso al maggioritario secco, sistema che spesso nega alla
maggioranza “reale” la vittoria elettorale. Il referendum si regge
ovviamente sul peso di ogni singolo voto.
Quello che si profila è
dunque la minaccia di una Brexit à la carte, ovvero un’offerta capace di
soddisfare tutti. Un boccone all’eurofobo provinciale middle class, un
altro all’euroscettico conservatore di antichi e nobili lombi, un altro
ancora all’euroscettico laburista poco incline all’internazionalismo,
uno al giovane ribelle “anti-tutto”, uno infine all’elettore mosso dal
desiderio di punire il premier in carica. Le ragioni per votare “no”
rischiano di essere troppe per poterle arginare. Tutti uniti,
appassionatamente, da un anti-europeismo diverso e accidentale, frutto
per taluni di un’antica convinzione per altri di un impulso casuale.
Un
sonnambulo che cammina verso l’abisso, a questo assomiglia Londra in
queste ore che credevamo fossero tarde abbastanza per tracciare il
profilo di un “sì” consolidato. Un sonnambulo sordo a tutti i richiami,
eccetto quelli della pancia dettati, come sono, da un menu variabile che
spesso con l’Europa non ha niente a che fare. I rischi di un
referendum, si dirà. Certo, i rischi di un referendum che, proprio per
questo, non si doveva fare.