Il Sole 4.6.16
Renzi parla di referendum, Grillo non va in piazza: chi mette la faccia sul voto
Le facce «coperte» di chi vince e chi perde
di Lina Palmerini
La
singolarità di questo voto è che i due principali sfidanti si tengono
un passo indietro. Renzi dice che il test è sui sindaci, Grillo diserta
le piazze. E allora chi metterà la faccia su vittorie o sconfitte? Il
premier punta sul referendum ma per i 5 Stelle il tema di chi è
responsabile dei risultati sarà il dilemma del dopo-urne.
Si deve
credere fino a un certo punto a Matteo Renzi quando anche ieri diceva
che le amministrative sono un’elezione locale, che riguarda i
candidati-sindaci, non il Governo o la sua persona. Resta infatti
difficile immaginare che il premier non si prenderà neanche un po' di
merito da vittorie importanti – se ci saranno – a Roma o Milano. Sarebbe
anche sbagliato non attribuirsi parte del successo soprattutto nelle
città in cui le persone “in gara” sono state scelte da lui.
Maliziosamente si è più portati a pensare che è alle sconfitte che il
leader del Pd pensa, ed è quelle che coprirà rinviando l’appuntamento
politico definitivo al referendum costituzionale come vero banco di
prova per se stesso.
È vero che queste amministrative non saranno
una svolta per il Governo, però saranno una tappa intermedia importante
per – eventualmente – ricalibrare il tiro anche sulla campagna di
ottobre. Saranno invece una svolta per i 5 Stelle. Perché accanto a
Renzi che cerca di tenersi distante dall’esito delle amministrative, c’è
anche il suo principale sfidante – Grillo – che in piazza non si è
quasi fatto vedere. Renzi, gli ultimi giorni ha provato un rush finale a
Roma e Milano, a Torino e Napoli, ieri a Bologna e Rimini, ma il guru
del Movimento – invece – è stato assolutamente in disparte.
Ha
lasciato che il direttorio si muovesse da solo, i vari leader si sono
divisi i comizi e la campagna elettorale è rimasta senza la grande forza
d’urto di quelle piazze che Grillo riempiva. Il “vaffa day”, lo
“tsunami tour”, davano un titolo e un’immagine potente a ciò che il
Movimento voleva rappresentare: la svolta radicale. Ieri a piazza del
Popolo doveva esserci il guru ma ha inviato solo un video, Casaleggio è
scomparso da poco e i grillini si sono trovati alla loro prima campagna
elettorali a metterci solo le loro facce.
Però il tema è proprio
questo. E certamente dilanierà i 5 Stelle soprattutto in caso di
sconfitta. Cioè se verrà mancato il traguardo di Roma, se dovesse venire
meno anche quello di Torino – le due città dove il Movimento è dato più
forte – di chi sarà la responsabilità? Del direttorio tutto? Difficile
perché come si sa tra i vari leader non c’è un clima di armonia. E
dunque è immaginabile che si arriverà a un redde rationem, a una resa
dei conti su chi comanda, chi decide, chi è più forte tra Di Maio, Fico e
Di Battista.
Naturalmente la vittoria, soprattutto a Roma, avrà
un effetto curativo su queste divisioni più o meno latenti. Il Movimento
non si spaccherà in discussioni, tutto si svolgerà più sotto traccia,
ma comunque il passaggio di queste amministrative non renderà rinviabile
il tema della leadership.
Per il centrodestra, la faccia del
perdente o del vincente si vedrà subito. E si vedrà a Roma. Perché
queste amministrative non sono giocate in chiave anti-Renzi ma in chiave
interna: Silvio Berlusconi conterà ancora? Naturalmente se Marchini non
dovesse andare al ballottaggio ma dovesse farcela la Meloni, è chiaro
che per il Cavaliere è finita. Ma se né l’uno né l’altro dovessero
farcela, allora nelle mani dell’anziano leader resterà un potere
d’interdizione e dunque di comando. Che sarebbe molto più forte se
passasse Marchini al ballottaggio – naturalmente – mentre su Milano la
gara interna è silenziata dal candidato che raccoglie tutto il
centrodestra.
Alla fine per nessuno dei leader questa sarà la
partita politica decisiva, ma una tappa intermedia – sostanziale - per
affrontare i grandi dilemmi interni.