Il Sole 3.6.16
Berlino, gli armeni e lo schiaffo a Erdogan
di Alberto Negri
Alla
cancelliera Angela Merkel sarebbe bastata una Turchia presentabile, da
tenere nella sala d’attesa dell’Europa, utile per essere un partner
affidabile nella gestione di un paio di milioni di profughi e come
alleato nel marasma mediorientale. L’obiettivo forse è destinato a
fallire, anche se non è detto che la crisi tra Berlino e Ankara, dopo il
riconoscimento del genocidio degli armeni, significhi immediatamente il
naufragio dell’accordo sui profughi. Probabilmente si apriranno nuovi
contenziosi con Bruxelles. Certo questa intesa, criticata per le sue
ambiguità, ondeggia a ogni folata di vento, come il recente siluramento
dell’ex premier Davutoglu, e per un semplice motivo: a differenza dei
suoi predecessori Erdogan non guarda all’Europa come a una meta da
raggiungere
Considera l’Unione non un approdo ma soltanto una
sponda per suoi progetti politici. È stato lui stesso qualche giorno fa a
proclamarlo davanti a un milione di persone a Istanbul, circondato da
bandiere ottomane e comparse vestite da giannizzeri che marciavano al
passo dell’oca: «Per capire questa città non si deve guardare all’Europa
ma alla Mecca, alla Medina, ad Al Qods (Gerusalemme)». Non solo deve
essere seppellito il passato romano e bizantino di Costantinopoli ma
Erdogan ha indicato una geopolitica completamente diversa, difficilmente
compatibile con l’Unione europea e forse anche con la stessa Nato. Ogni
occasione diventa un’opportunità da strumentalizzare in chiave islamica
e soprattutto iper-nazionalista per dimostrare l’urgenza dei suoi
progetti politici: varare una costituzione sul modello presidenziale e
far fuori i curdi in Parlamento, ritenuti un vulnus alla compattezza
dell’ideologia panturchista.
La crisi con Berlino per il voto del
Bundestag sul genocidio armeno verrà enfatizzata con il richiamo
dell’ambasciatore in Germania, come era già avvenuto l’anno scorso con
il Vaticano e l’Austria sempre per lo stesso motivo in occasione del
centenario del massacro degli armeni del 1915. Allora Papa Bergoglio
aveva definito l’uccisione di 1,5 milioni di armeni «il primo genocidio
del ventesimo secolo» ed Erdogan aveva accusato il pontefice di dire
«stupidaggini». Questa volta le reazioni sono ancora più forti.
La
signora Mekel si accorge, giorno dopo giorno, che la sua amicizia con
Erdogan è disseminata di ostacoli. In primo luogo per i ripetuti
attacchi del “sultano” alla democrazia, ai principi di separazione dei
poteri, allo stato di diritto, alla libertà di espressione: la stessa
Merkel ha protestato per la cancellazione dell’immunità parlamentare
destinata a espellere soprattutto i deputati curdi. Dopo che le era
stato rimproverato di sacrificare i valori europei sull’altare
dell’accordo con Ankara, questa crisi dovrebbe aprire un nuovo capitolo
anche per l’Unione: non più quello della “realpolitik” - chiudere un
occhio sull’autoritarismo di Erdogan pur di frenare profughi - ma del
“principio di realtà”, cioè prendere atto che la Turchia di oggi è un
partner forse ineludibile ma ad alto rischio politico.