Il Sole 2.6.16
Grandi infrastrutture
Se la piccola Svizzera fa più Europa dell’Europa
di Adriana Cerretelli
Potrebbe
sembrare un non senso e anche una provocazione eppure, in questi tempi
di multi-crisi, l’Europa dei 28 farebbe bene ad andare a lezione di
Europa dagli altri invece che da se stessa. Magari dal gigante e dal
topolino, da Cina e Svizzera, due partner con cui non intrattiene
rapporti idilliaci ma dai quali oggi avrebbe molto da apprendere, anche
per ritrovare la spinta integrativa che pare aver perso per strada.
I
57,1 chilometri del tunnel ferroviario del Gottardo, il più lungo del
mondo, accelerando collegamenti e trasporto merci tra nord e sud delle
Alpi, creeranno nei fatti molto più mercato unico europeo di tante, a
volte troppe direttive Ue.
Inaugurandolo ieri alla presenza del
cancelliere tedesco Angela Merkel, del presidente francese François
Hollande, del premier Matteo Renzi ma stranamente non del presidente
della Commissione Jean-Claude Juncker, la Svizzera non solo ha battuto
tutti sul tempo nel completamento del segmento chiave del corridoio
europeo Genova-Rotterdam ma ancora una volta ha dato prova di precisione
impeccabile: 17 anni di lavori come previsto, costo 11,1 miliardi di
euro, come preventivato, su un totale di 16,3 per l’intera nuova rete
ferroviaria transalpina che sarà finita nel 2020.
Operativo
dall’11 dicembre prossimo, il tunnel del Gottardo vedrà salire il
traffico dei treni-merci dai 180 attuali a 260 al giorno per un
trasporto totale di 49 milioni di tonnellate all’anno (+20% entro il
2020). Accanto a 65 treni passeggeri al giorno. Tutto ad alta velocità.
Più rotaia, meno gomma, trasporti più rapidi, efficienti e meno
inquinamenti.
Parallelamente e molto speditamente sta diventando
realtà ormai quasi quotidiana il progetto Eurasia di Pechino, riedizione
terrestre dell’antica via della seta per collegare Cina ed Europa, in
primis Germania, attraverso ferrovie, progressivamente ad alta velocità,
e autostrade.
Investimento 60 miliardi. Obiettivo, dimezzare i
tempi del trasporto merci dai 45 giorni via nave a 15-18 in media, con
viaggi da 11-13.000 km.
Inaugurata nel 2014, primi punti di arrivo
Amburgo e Duisburg, la rotaia cinese si spinge ormai fino a Madrid e a
Lione guardando a Venezia. Paradossalmente rischia così di realizzare,
dribblando gli eterni temporeggiamenti e ritardi Ue e, soprattutto, gli
investimenti con il contagocce, la grande rete di trasporto transeuropea
lanciata dal vertice di Essen nel lontano 1994 ma 22 anni dopo ancora
non ultimata.
Se messo a confronto con il dinamismo, la visione,
il coraggio e la progettualità strategica altrui, balza all’occhio il
torpore dell’Unione e spiega la sua crescita stanca, che non ritrova
ritmo e men che meno vigore e voglia di investire. Ne spiega l’erezione
di muri, gli istinti protezionistici e falsamente difensivi. Non che la
Svizzera, che si è pagata il nuovo traforo sotto le Alpi, sia esente da
egoismi anti-migratori, tutt’altro. Però riesce anche a vedere e a
perseguire bene i propri interessi economici e commerciali.
Eppure
c’è stato un tempo, era sempre il 1994, non un secolo fa, in cui
l’Europa in soli 6 anni riuscì a realizzare un progetto ben più
avveniristico e tecnologicamente avanzato del Gottardo: il tunnel sotto
la Manica, 50,5 km ma 38 sotto il mare. Un pegno rivoluzionario di unità
tra un’isola e un continente, troppo spesso in competizione se non in
rotta tra loro. Che presto potrebbe sparire nelle urne di Brexit.
La
nuova Unione in perdita di smalto e di spirito di corpo è quella che
discute della Torino-Lione e tunnel relativo da quello stesso ’94, ha
finalmente deciso di costruirlo nel 2001 ma solo di recente ha
concretamente avviato gli scavi. Il traforo sarà operativo intorno al
2025-30, lungo 57 km come il Gottardo, però costerà 24 miliardi salvo
imprevisti.
Sono dati che parlano da soli ma raccontano solo una
parte di tutta la storia. Negli ultimi 20 anni l’Europa ha sbriciolato
molti monopoli nazionali, liberalizzato le telecomunicazioni, le poste,
il trasporto aereo. L’apertura del mercato delle ferrovie ha arrancato
con estrema fatica lasciando intatte molte barriere: fino a che non
cadranno, la rete ferroviaria integrata resterà una finzione
transeuropea, anche qualora ne fossero sanati tutti i buchi strutturali.
A
fine aprile dopo 7 mesi di trattative, ricorda David Sassoli,
negoziatore della riforma per l’europarlamento, finalmente si è
raggiunto l'accordo per estendere la liberalizzazione del traffico anche
all’alta velocità, come dire che dal 2020 i Frecciarossa potranno fare
concorrenza ai Thalys (e viceversa) in casa loro, cioè anche sulle
tratte nazionali.
Un passo fondamentale per introdurre la
concorrenza sul mercato del futuro. In verità sulle tratte
internazionali l’apertura sulla carta c’era già dal 2010 ma i tentativi
delle Fs di sfruttarla, per servire per esempio la Parigi-Bruxelles,
sono stati regolarmente bloccati aggirando la normativa, con il
protezionismo tecnologico, cioè il rifiuto di mettere a disposizione il
software necessario a collegare i treni con la rete nazionale francese.
Tra
5, massimo 8 anni la nuova frontiera tecnologica passerà per il treno
automatico, senza pilota come l’auto. Tuttora l’Unione ha ben 26 diversi
sistemi di segnalamento: se non saranno standardizzati e al più presto,
l’Europa si taglierà fuori dalla prossima rivoluzione dei trasporti e
relativi vantaggi competitivi. Per creare un sistema europeo ci
vorrebbero, sembra, 7 miliardi di euro, il grosso dei quali potrebbe
arrivare da capitali privati, magari con un contributo del piano
Juncker.
La Svizzera si è messa al passo dell’integrazione del
mercato europeo. La Cina appare sempre più vicina e attiva su quello
stesso mercato che intende utilizzare al massimo per rafforzare la sua
penetrazione commerciale. Sarebbe ora che anche l’Europa si svegliasse
dal suo lungo sonno e decidesse di sfruttare fino in fondo le sue
strutture e le sue grandi potenzialità. Evitando di regalarle agli
altri.