giovedì 2 giugno 2016

Corriere 2.6.16
«Siamo parte della civiltà europea. Brexit ci butta sull’orlo dell’abisso»
Lo scrittore McEwan: «Temo un effetto domino su tutto il Continente»
Tutta l’élite culturale vuole restare. E questo genera solo sospetti tra chi non ne fa parte
di Stefano Montefiori

PARIGI Sta trascorrendo qualche giorno «in Europa», come dicono certi suoi connazionali quando vogliono sottolineare che la Gran Bretagna non ne fa parte. Ian McEwan, uno dei più grandi scrittori inglesi viventi, viene spesso in Francia. Era seduto con la moglie in un caffè di Saint-Germain-des-Prés, per esempio, quando la sera del 13 novembre i terroristi hanno fatto strage a Parigi. Oggi si trova a Port-Cros, una delle tre isolette davanti a Hyères, nel Mediterraneo, già rifugio degli scrittori della Nouvelle Revue Française tra le due guerre, e domenica McEwan sarà in Italia, al festival letterario di Cagliari. Ne approfittiamo per parlare di Gran Bretagna, Europa, Brexit. «Suppongo che continuerò a godere della letteratura europea in ogni caso, sia che restiamo nella Ue o no. Ma a livello emotivo sento di essere parte della civiltà europea, e non mi piace che il Regno Unito diventi una piccola roccaforte off-shore».
L’ultimo sondaggio indica il fronte del «leave» in vantaggio sul «remain»: il 52% preferisce lasciare l’Unione Europea, contro il 48% che vorrebbe restare. È preoccupato per il referendum del 23 giugno?
«La situazione sta diventando molto pericolosa. I più anziani, i meno istruiti e la working class vogliono lasciare l’Ue, i giovani e le élite restare. In ogni caso, anche se decidiamo di restare come spero, il problema diventerà una questione ricorrente nella politica britannica. Questo genio non tornerà nella bottiglia. Già questo è un pessimo sviluppo».
Qual è la sua sensazione?
«L’intero progetto europeo è sull’orlo dell’abisso. E se c’è un Brexit, questa potrebbe essere la spinta che getta l’Europa nel burrone. Temo un effetto domino in tutto il continente. Se Marine Le Pen arriva all’Eliseo, parleremo di un Frexit, l’uscita della Francia».
Sta giocando al «Project Fear»? A detta di chi vuole uscire dall’Ue, gli inglesi che fanno campagna per restare usano troppo la paura e le profezie catastrofiche.
«Ma quando qualcuno ti spinge sull’orlo di un burrone è ragionevole parlare delle conseguenze. Uno dei problemi, per noi che vogliamo restare, è che siamo tiepidi al riguardo. Restare non ci appassiona, ma ci appassiona il non lasciare. Per molti anni l’Unione Europea ha garantito una certa prosperità e mantenuto la pace. Solo che la pace è noiosa, la pace non fa notizia».
Il campo del «leave» conta sul recupero della sovranità nazionale, per esempio nella gestione dell’immigrazione. Quanto è importante questo tema?
«Molto. Finora abbiamo fatto finta che le norme europee sulla libera circolazione dei lavoratori fossero state scolpite nella pietra da Mosè, ma non è così. Forse dovremmo cambiarle. Sono i cittadini più in basso nella scala sociale che patiscono le conseguenze dell’immigrazione, che si arrabbiano riguardo ai salari, le garanzie sociali, le difficoltà delle scuole pubbliche. E lo dico io che voglio restare nella Ue».
Il referendum sul Brexit è una variante del populismo che avanza ovunque?
«Nel passato una élite metropolitana ha dato il benvenuto all’immigrazione senza sperimentarne direttamente le conseguenze. Più dipendi dallo Stato più proverai sulla tua pelle le conseguenze dell’immigrazione. Finché non si affronta il problema si lascia spazio ai populisti».
Lei ha ambientato tanti romanzi nel suo Paese, l’Inghilterra, ma altri nella sua patria più grande, l’Europa: da «Lettera a Berlino» a «Cani Neri» in Francia a «Cortesie per gli ospiti» a Venezia... L’Europa sembra essere fondamentale per lei.
«Sì, lo è. In potenza, l’ideale europeo è uno dei più sofisticati e civilizzati frutti del pensiero umano. Se guardiamo la politica oggi negli Stati Uniti, o i regimi della Russia, della Cina, o il completo crollo della libertà di espressione nei Paesi a maggioranza musulmana, l’Europa comincia ad apparire come il posto più sofisticato e ragionevole nel Pianeta. L’Europa potrebbe essere l’ultima speranza del pianeta Terra».
Lei ha firmato un manifesto assieme ad altre celebrità in favore del «remain». Non pensa in questo modo che si accentui la separazione tra élite e resto dei cittadini?
«Assolutamente sì, è vero. Tutta l’élite culturale in Gran Bretagna vuole restare in Europa, e questo genera sospetti presso chi non ne fa parte. Tra i miei amici, non ne conosco uno che voglia uscire dall’Europa. Ma non sarebbe giusto tacere. Siamo davanti all’addio alla Ue, e anche alla disintegrazione del Regno Unito perché, se lasciamo, la Scozia ci lascerà a sua volta».
È il momento di tenere le dita incrociate.
«Sì, è quel che faccio, cosa che ha più o meno la stessa efficacia del firmare petizioni (ride, ndr). Questo in fondo sono le petizioni, gli appelli: è come incrociare le dita in pubblico. Oppure, come togliersi il cappello quando si entra in chiesa. Cose che servono a poco, ma vanno fatte».