Il Sole 2.6.16
L’analisi
La crescita urbana motore di sviluppo, il dibattito «europeo» che è mancato
di Giorgio Santilli
Fra
i topi che corrono e gli autobus che vanno a fuoco, fra
l’amministrazione comunale infiltrata da Mafia Capitale e l’incapacità
della politica di governare la città, non era difficile prevedere che il
dibattito elettorale romano sarebbe stato di profilo basso. E mentre
Sala e Parisi a Milano si fronteggiano tirando in ballo modelli come il
«London Plan 2050», dando il senso di una città che in questi anni ha
riconquistato uno sguardo sul futuro, Roma naviga a vista, troppo presa
dalle sue grandi emergenze di «onorabilità morale» e «decadenza
strutturale» dei servizi. Così che il guizzo maggiore (si fa per dire)
al confronto elettorale lo ha dato una “trovata” della candidata dei
Cinque Stelle, Virginia Raggi, sugli assessori a tempo: e tutti a
discutere se sia giusto o meno nominare un assessore che faccia il
proprio lavoro per un mandato più breve di quello del sindaco. Banalità.
Serve proprio il contrario: lavoro di lungo corso.
Quello che è
mancato davvero - e che dà il senso di quanto sia lunga la strada per
ritrovare il ruolo di capitale del Paese - è un dibattito che dicesse ai
romani cosa vuole essere Roma in futuro. «Essere» prima ancora che
«fare». «Essere», se possibile, in un contesto europeo che è l’unico
possibile contesto di confronto e competizione per una capitale. Ci si è
provato con le Olimpiadi ma a parte la gaffe (poi rettificata) della
Raggi che ha definito la proposta «criminale», il Grande Evento può
aiutare ma non sostituirsi a una riflessione documentata sulla città.
Ormai
è tardi per introdurre il tema nella campagna elettorale: ci aveva
provato l’Acer, l’associazione dei costruttori romani, con un documento
di confronto europeo elaborato dal Cresme, e si può solo sperare che la
questione venga recuperata nel ballottaggio e ancora più dal sindaco
eletto. E che favorisca un salto di qualità non solo nei temi di cui si
parla ma anche nel modo (più documentato e più elaborato) in cui il tema
viene proposto e svolto.
Con quali temi si confrontano e quali
questioni pongono piani come «London Infrastracture Plan 2050» o il
«Progetto Grand Paris» o lo «Urban Development Concept 2030» di Berlino?
E ancora quali “vision” offrono i piani di Stoccolma, Copenaghen,
Amburgo, Barcellona, Madrid, Lione? Qui il problema non è più il
“marketing territoriale” che si faceva negli anni ’90, ma è invece una
programmazione nuova che sia capace di prevedere cosa una città può
offrire in termini di servizi e come può rendersi più accogliente.
Il
primo tema è quello della crescita. Crescita economica, demografica,
dimensionale, infrastrutturale, tutte legate una all’altra. «Bigger and
better» è lo slogan di «London Infrastructure Plan 2050», con tre
ipotesi demografiche di scenario che proiettano la grande metropoli
verso i 9,5, gli 11,3 e i 13,4 milioni di abitanti. Che significa, in
termini di azioni di policy, 1,5 milioni di abitazioni da realizzare,
una crescita del 70% della capacità di trasporto pubblico (metropolitane
e ferrovie), 9mila ettari di spazi verdi accessibili. Ma soprattutto
significa affermare l’obiettivo strategico di realizzare 600 nuove
scuole o college: il target che consentirebbe a Londra di accentuare
fino al limite estremo la vocazione planetaria di centro della
formazione dei figli delle classi alte di ogni parte del mondo.
La
crescita - economica e demografica - è anche la base dei programmi di
Parigi e Berlino perché - dice il direttore del Cresme Lorenzo Bellicini
- «siamo entrati in una nuova fase urbana» in cui è chiaro che «le
città crescono perché sono il futuro, sono il cuore della nuova
rivoluzione industriale e vincono perché è lì che c’è il lavoro».
Soprattutto vincono le città in cui ci sono «i giovani» e mentre le
città europee hanno un’età media crescente, «sono gli stranieri che
contribuiscono al riequilibrio generazionale».
Sarebbe sbagliato
pensare che questi piani si fermano al dato della crescita. A dimostrare
che la loro utilità è davvero un tentativo serio di affrontare le
questioni-chiave dei prossimi 20-30 anni ognuno di questi piani ha due
capitoli irrinunciabili: il piano ambientale e, in particolare, quello
della “qualità dell’aria” e il piano di accoglienza degli immigrati,
nella consapevolezza diffusa che gli immigrati sono una risorsa
fondamentale per una città «durevole, inventiva e solidale», come dice
il piano di Parigi. Siamo lontani dalle modalità demagogiche e populiste
con cui spesso si affronta la questione in Italia. Quanto alla qualità
dell’aria, diventa non un argomento da bar ma uno standard misurabile
con cui scalare posizioni globali per rendere una città appetibile.