Il Sole 28.6.16
Un divorzio troppo semplice
Così la roulette russa entra nelle urne
di Kenneth Rogoff
La
reale follia del voto del Regno Unito a favore dell’uscita dall’Unione
europea non è stata quella della leadership britannica che ha osato
chiedere alla popolazione di soppesare i vantaggi della permanenza
nell’Ue rispetto alle pressioni immigratorie che essa esercita. La vera
follia è stata quella di aver fissato una soglia assurdamente bassa per
uscire dall’Ue, che ha richiesto soltanto la maggioranza semplice. Se si
tiene conto dell’affluenza del 70% al referendum, ciò significa che la
campagna per il “leave” ha vinto con un sostegno effettivo pari soltanto
al 36% degli aventi diritto al voto.
Questa non è democrazia: è
la roulette russa delle repubbliche. Si è presa una decisione dalle
conseguenze immense – molto più importanti rispetto all’emendamento
della Costituzione del Paese – senza predisporre alcun adeguato sistema
di controllo reciproco.
Il voto andrà ripetuto dopo un anno, per
sicurezza? No. La maggioranza parlamentare deve esprimersi in senso
favorevole alla Brexit? A quanto sembra no. La popolazione del Regno
Unito sapeva per davvero per che cosa si stesse esprimendo? No, nella
maniera più assoluta. Nessuno ha la più pallida idea delle conseguenze
dell’esito referendario, sia per ciò che concerne il Regno Unito nel
sistema commerciale globale, sia per le ripercussioni sulla sua
stabilità politica interna. Temo che non sia un bel quadro d’insieme.
In
Occidente si è fortunati a vivere in un’epoca di pace. Al variare delle
circostanze e delle priorità è possibile reagire in maniera adeguata
con metodi democratici, senza scatenare conflitti. Ma che cosa si
intende, di preciso, quando si parla di iter democratico allorché si
devono prendere decisioni irreversibili che hanno importanza
determinante per la vita della nazione? È sufficiente l’approvazione di
un risicato 52% per una rottura di questa portata?
La maggior
parte delle società prevede per il divorzio di una coppia più passaggi e
ostacoli da superare di quanti ne abbia previsti il governo di David
Cameron per uscire dall’Ue. Questo gioco non l’hanno inventato i
Brexiteer: abbondano i precedenti, compresi i casi della Scozia nel 2014
e del Québec nel 1995. Finora, però, il tamburodella pistola non si era
mai fermato in corrispondenza della pallottola in canna: adesso che
l’ha fatto, è giunto il momento di riconsiderare le regole del gioco.
È
un’aberrazione pensare che una decisione qualsiasi raggiunta in un
momento qualsiasi seguendo la regola della maggioranza semplice sia
necessariamente “democratica”. Le democrazie moderne hanno messo a punto
sistemi di controllo e bilanciamento reciproco per tutelare gli
interessi delle minoranze ed evitare di prendere decisioni disinformate
con conseguenze catastrofiche. Quanto più una decisione è importante e
ha effetti duraturi, tanto più in alto deve essere collocata
l’asticella.
È per questo motivo, per esempio, il varo di un
emendamento alla Costituzione richiede più passaggi rispetto
all’approvazione di una legge di spesa. Eppure oggi lo standard
internazionale previsto per spaccare un Paese è meno rigido rispetto
all’iter di approvazione dell’abbassamento dell’età minima per il
consumo di alcolici.
Adesso che l’Europa deve affrontare il
rischio di una marea di altri referendum per uscire dall’Ue, la domanda
che si pone pressante è se esista un modo migliore per prendere queste
decisioni. Ho rivolto la domanda a molti politologi di spicco per capire
se esista un consenso accademico in materia e, purtroppo la risposta è
no.
Tanto per cominciare, la decisione della Brexit può essere
sembrata semplice sulla scheda referendaria, ma in verità nessuno sa che
cosa accadrà di preciso dopo aver scelto “leave”. Ciò che sappiamo per
certo è che per consuetudine la maggior parte dei Paesi esige, nel caso
di decisioni di importanza determinante per la vita della nazione, una
“super-maggioranza” e non un semplice 51 per cento. Non esiste una
percentuale universale, ma in linea di principio la maggioranza dovrebbe
essere quanto meno stabile in maniera dimostrabile. Un Paese non
dovrebbe effettuare cambiamenti radicali e irreversibili sulla base di
un’esile minoranza che potrebbe prevalere soltanto in un breve arco di
tempo e sulla scia dell’emotività. Anche se l’economia del Regno Unito
non dovesse cadere in recessione (il calo della sterlina potrebbe
attutire la mazzata iniziale), ci sono numerose possibilità che i
disordini che ne deriveranno a livello politico ed economico infondano
in chi ha votato “leave” il classico “rimorso dell’acquirente”.
Fin
dai tempi più antichi i filosofi hanno cercato di escogitare sistemi
atti a bilanciare i punti di forza della regola della maggioranza e la
necessità di garantire che le parti informate avessero più voce in
capitolo nelle decisioni di importanza cruciale, sempre che le voci
delle minoranze fossero ascoltate. Nell’antica Grecia, nelle assemblee
di Sparta si votava per acclamazione: la gente poteva modulare la
propria voce per riflettere l’intensità delle sue preferenze, e il
funzionario addetto che le presiedeva ascoltava con attenzione prima di
annunciare il risultato. Era un sistema imperfetto, ma pur sempre
migliore, forse, di quello appena utilizzato nel Regno Unito.
A
quel che si dice, Atene, città-stato sorella di Sparta, metteva in
pratica il più puro esempio storico di democrazia: i voti dei vari ceti
sociali avevano il medesimo peso (anche se a votare erano soltanto gli
uomini). Alla fine, però, dopo alcune decisioni belliche catastrofiche,
gli ateniesi ritennero opportuno conferire maggiore potere decisionale a
enti indipendenti.
Che cosa avrebbe dovuto fare il Regno Unito,
qualora fosse stato proprio indispensabile (e non lo era affatto)
formulare la domanda sull’appartenenza all’Ue? Di sicuro, la soglia
avrebbe dovuto essere fissata molto più in alto: diciamo, per esempio,
che la Brexit avrebbe dovuto richiedere due consultazioni popolari
nell’arco di almeno due anni, seguite dall’approvazione di almeno il 60%
dei deputati della Camera dei Comuni. Se a quel punto la Brexit avesse
ancora prevalso, se non altro avremmo saputo che non si trattava della
scelta estemporanea di un’esigua minoranza della popolazione.
Il
referendum nel Regno Unito ha scaraventato l’Europa nel caos. Adesso
molto dipenderà dalle reazioni internazionali e molto altro da come il
governo del Regno Unito riuscirà a ricostituirsi. È importante valutare
attentamente non soltanto il risultato, ma anche l’iter che ha portato a
questa situazione. Qualsiasi azione volta a ridefinire accordi invalsi
da tempo e concernenti i confini di un Paese dovrebbe richiedere ben più
della maggioranza semplice e un’unica consultazione popolare. Come
abbiamo appena visto, l’attuale sistema internazionale della regola
della maggioranza semplice è la ricetta per il caos.
(Traduzione di Anna Bissanti)
Kenneth Rogoff, ex capo economista del FMI, è professore di Economics and Public Policy all’Università di Harvard