il manifesto 28.6.16
Spira un vento slavo
Analisi. Nuovi «leader» sul carro in fiamme della Brexit
di Tommaso Di Francesco
Un’Europa
balcanizzata, che altro appare dopo il voto a favore della Brexit in
Gran Bretagna e anche, a ben guardare, dopo il voto in Spagna? Dopo un
referendum per la Brexit, con un Paese spaccato quasi a metà, ecco
infatti la proposta di un altro referendum della Scozia per uscire dalla
Gran Bretagna e una inziativa per bloccare quello voluto da Cameron
perché il governo di Edimburgo diventi così il primo e nuovo
interlocutore oltre Manica dell’Unione europea, E insieme il
pronunciamento per la riunificazione con l’Irlanda dei deputati
cattolici dell’Irlanda del Nord, crisi storicamente sanguinosa, non
risolta e che potrebbe trovare nuovi sviluppi.
Mentre regna il
caos nei partiti politici, annunciato quello nei Tories e invece attacco
sorprendente nel Labour a Jeremy Corbyn l’unico laburista che sui
contenuti tiene aperta la prospettiva politica della solidarietà che
sola può far vivere l’Unione europea, sotto tiro stavolta da parte dei
moderati e dei blairiani, come se non fosse stato proprio Tony Blair,
l’uomo che ha lavorato per un’Europa atlantica subalterna agli Usa e per
la Nato – che ora con il segretario Stoltenberg fa sapere che «con la
Brexit l’Alleanza atlantica è più forte» – impegnandola fra l’altro
nella pratica della socialdemocrazia guerrafondaia, vale a dire in tante
guerre che ora ci tornano in casa con il terrorismo e soprattutto con
la disperazione dei profughi. In fuga dalle rovine e dai massacri dei
«nostri» conflitti, dall’Iraq, alla Libia alla Siria.
Mentre si
aggiunge l’improbabile ma massiccia richiesta di quasi tre milioni di
britannici per una legge che permetta di rivotare, insieme a molti
londinesi che chiedono la secessione di Londra. Inoltre sulla Brexit si
divide anche l’Europa di Bruxelles, con le leadership delle istituzioni
Ue che chiedono un «divorzio breve e al più presto» e la Germania, tanto
responsabile della devastazione, che con Merkel chiede «cautela e
riflessione».
Ma è anche sulla Spagna che spira un forte vento
slavo. Perché, a poche ore dalla Brexit, ha prevalso nel voto
sicuramente un riflesso d’ordine che ha aiutato l’affermazione di Rayoj e
il Psoe che resta al secondo posto pure al suo livello storico più
basso, penalizzando le aspettative positive dell’alleanza di sinistra,
non nazionalista né populista, Unidos Podemos. Ma, ecco il punto, Unidos
Podemos, che ha sempre avuto difficoltà con il Psoe sul nodo delle
Nazionalità, è invece il primo partito in Catalogna e nei Paesi Baschi.
Così vale il ragionamento: se l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue
diventa una legittimazione per la Scozia e l’Irlanda del Nord ad uscire
dalla piccola Gran Bretagna, l’affermazione del Pp in un paese
dall’immobilismo tragico autorizza ora catalani e baschi alla
secessione.
È un elenco senza fiato, che mostra uno scenario
balcanico per l’Unione europea, la Gran Bretagna e la stessa Spagna.
Perché evoca le immagini funeste dei referendum contrapposti che
portarono, prima della guerra fratricida, alla dissoluzione della
Federazione Jugoslava a partire proprio dal giugno 1991 fino al 1992.
Con una differenza sostanziale. Allora quella distruzione, oltre che
alimentata da scellerati nazionalismi delle Repubbliche jugoslave, fu
favorita dall’esterno dai riconoscimenti da parte dell’Europa delle
indipendenze proclamate su base etnica. Tanto che possiamo dire che
l’Unione europea allora alle origini, si costruì dopo la caduta del Muro
nell’89 – quanto a gerarchie interne e leadership d’influenza – sulla
distruzione della Jugoslavia. Si potrebbe parlare di nemesi per
un’Europa che vanta, senza vergogna, la favoletta di essere stata
«spazio di pace, senza guerre» in questi 25 anni.
Stavolta la
crisi invece è favorita soprattutto dall’implosione interna della
credibilità dell’Unione europea fin qui realizzata. Quella
dell’austerità, delle banche e dei mercati finanziari, contro la
solidarietà sociale, l’occupazione, l’accoglienza.
Manco a dirlo,
tutto deve cambiare perché nulla cambi e chi è stato responsabile del
disastro si erge ora a giudice ed eroe, quando addirittura non trova
sotterfugi per usare a proprio vantaggio la Brexit.
Così abbiamo
sentito Giorgio Napolitano vibratamente chiedere «adesso un’Europa più
sociale» dimenticando che in Italia è stato proprio lui, come presidente
della Repubblica e grande mallevadore di Matteo Renzi, il protagonista
di una mostruosità: il vincolo del fiscal compact voluto da Bruxelles è
finito nella nostra Costituzione. Così Matteo Renzi che, indebolito dal
recente voto amministrativo annuncio della débâcle del referendum di
ottobre sull’antidemocratica legge elettorale dell’Italicum, sale ora
sul carro incendiato della Brexit per gettarne il fumo sul referendum di
ottobre contro il No. E si propone baluardo di stabilità insieme a
François Hollande, alle prese anche lui con la diffusa protesta sociale
contro la Loi Travail e in un Paese in stato d’emergenza per il
terrorismo. Due vistose debolezze si ergono a sentinelle
dell’instabilità europea.
Ma il fatto più sconcertante accade in
quel che resta della Gran Bretagna. David Cameron, dopo il suo
referendum, ha annunciato le dimissioni. Ma sembrano più un remain che
un leave: intanto resta in carica, se se ne andrà lo farà solo dopo il
congresso dei Tories che, annunciato per ottobre è di là da venire
perché non c’è alcuna alternativa e nessuno sa quando verrà davvero
convocato. Così Cameron per molto tempo ancora tratterà l’uscita morbida
da un rapporto senza amore – dice lo stesso Juncker – ancora per un
anno o forse due. A chi dare allora la colpa della Brexit se non a
Jeremy Corbyn? Che ha avuto l’unico «demerito» di ereditare un Labour in
frantumi, fallito, adoperandosi controcorrente a risollevarne le sorti
sulla base di alcuni elementari contenuti di sinistra – gli unici che
possono salvare anche la Ue -: la diseguaglianza economica, una nuova
politica industriale, accoglienza e progetto non respingimento dei
migranti.
Sì, l’Europa ormai è balcanizzata. Esplode una crisi di
sistema dentro alla globalizzazione, e quel che ci ostiniamo a chiamare
mercati – il capitalismo finanziario internazionale – diventano più
forte contro la protesta sovranista, mentre diviene più autorevole
un’Alleanza militare che doveva sciogliersi con la Guerra Fredda e che
surroga sempre di più l’inesistente Ue.