Il Sole 25.6.16
Referendum costituzionale, dopo Brexit il nodo delle dimissioni di Renzi e del piano B
di Lina Palmerini
Dopo
Brexit il referendum costituzionale prende una nuova traiettoria. Il
rischio della sconfitta trasforma l’Italia nella prossima mina vagante
per l’Europa e su Renzi ricade il peso di un destino non più solo
nazionale. Da un lato il premier è più obbligato di ieri a vincere il
referendum e dall’altro è costretto a riformulare l’ipotesi di
dimissioni.
Quella che era una forte arma di pressione sulla
vittoria dei sì, nella realtà, viene smontata da Brexit perché l’Italia
non può più permettersi salti nel buio, per sé e per la tenuta
dell’Unione. Non è più il tempo in cui Renzi può minacciare l’abbandono,
lasciare il Governo senza che si sappia cosa accadrà il giorno dopo.
Non lo consente l’alto debito pubblico, non la condizione assai
complicata delle banche italiane, non i pericoli che correrebbe la
moneta unica. Il crollo delle Borsa di ieri è un assaggio. Soprattutto
dopo l’esperienza del 2011, è chiaro che in questi mesi – in Italia e
fuori - si disegnerà un piano B per mettere in sicurezza le istituzioni e
la finanza pubblica. Il punto è se Renzi vorrà partecipare - e
collaborare - a costruire una via d’uscita in caso di sconfitta o se
sarà scavalcato.
Queste infatti sono le situazioni in cui la
politica italiana comincia a muoversi, incresparsi, prendere forme
inattese: nel Pd si cominciano ad aprire discussioni interne sulle varie
opzioni – dal voto a governi tecnici - e se ne parla tra le
opposizioni. Ciascuno farà il tifo per il suo scenario ma è il premier
che dovrà decidere se cercare di tenere in mano il pallino del gioco o
restare sulla minaccia del salto nel buio. Questo è il cambio di schema
dopo Brexit.
E’ chiaro che la spinta sarà vincere il referendum. E
su questo primo scenario avrà un sostegno ai massimi livelli europei e
non. Anche perché è una vittoria che avrà un peso vitale per l’Italia e
sulla sua reputazione di essere “riformabile”. Ma, accanto a questo
impegno si affianca quello di costruire anche lo scenario della
sconfitta che Renzi pensava di poter sbrigare con il suo addio alla
politica. Era il dicembre scorso quando nella conferenza stampa di fine
anno mise sul piatto il suo azzardo più grande. Se non vinco lascio il
Governo e la politica, disse. E la sfida fu declinata tutta in chiave di
responsabilità personale, la presa d’atto necessaria di non avere
dietro di sé un popolo in quella che è stata la riforma per eccellenza
del suo Esecutivo. Bene da ieri è cambiato tutto il contesto e in modo
drammatico.
L’uscita della Gran Bretagna mette l’Europa e la
moneta unica su un crinale rischioso ma l’Italia, con il suo
appuntamento d’ottobre, rischia perfino di buttarle nel burrone. Ecco
perché oggi quella promessa di dimissioni va riformulata in un quadro
istituzionale di maggiore protezione e garanzia sul dopo. Non possono
più essere un gesto di responsabilità politica personale, così come le
ha impostate lui, perché la responsabilità - a questo punto - si espande
e varca i nostri confini. E da oggi il premier sarà obbligato a
lavorare non solo sulla vittoria - più indispensabile di ieri - ma anche
su un percorso che non lasci Governo e Parlamento in balia
dell’incertezza. Di questo passaggio sarà chiamato a renderne conto alle
massime istituzioni italiane ed europee. E su questa ipotesi si muoverà
la politica italiana in questa estate prima del referendum.