Il Sole 20.6.16
Spagna. La formazione di Iglesias sorpassa i
socialisti di Sanchez e rilancia la proposta di una coalizione di
sinistra per governare
Balzo di Podemos a sei giorni dal voto
di Luca Veronese
Il partito è secondo nei sondaggi grazie all’alleanza con i comunisti repubblicani
«Tutti
evitano di prendere decisioni, nessuno nei ministeri di Madrid va oltre
la normale amministrazione delle cose di ogni giorno. Le nomine, i
progetti e i provvedimenti che implicano una spesa, anche minima ma non
ordinaria, restano bloccati sopra i tavoli a prendere polvere. Hanno
nascosto le penne per mettere la firma». È la paralisi politica
spagnola, la Spagna senza governo come la descrive un funzionario del
ministero dell’Economia, vicino ai popolari e abbastanza pessimista
anche su quello che potrà accadere il 26 giugno quando la Spagna dovrà
votare, per la seconda volta in sei mesi.
Come lo scorso dicembre
la sfida elettorale è tra quattro partiti e quattro leader. Ai popolari
di Mariano Rajoy che hanno governato negli ultimi quattro anni, e al
nuovo corso socialista di Pedro Sanchez, si sono ormai stabilmente
affiancati i due grandi movimenti di protesta nati e cresciuti negli
anni della grande crisi economica: gli indignati di Podemos con Pablo
Iglesias e i centristi liberali di Ciudadanos con Albert Rivera.
Si
riparte dal fallimento di ogni trattativa che i quattro hanno tentato
da Natale in poi, sperando che dalle urne esca un Parlamento meno
frammentato di quello appena sciolto, incapace di produrre una
maggioranza e tantomeno un governo. I sondaggi non segnalano cambiamenti
in grado di rompere l’impasse: nell’ultima rilevazione di Metroscopia,
il Partito popolare raggiunge il 29% delle intenzioni di voto, seguono
Unidos Podemos con il 26%, il Partito socialista con il 20,5% e
Ciudadanos con il 10 per cento.
«Le elezioni mostreranno come la
Spagna sia entrata ormai in una fase di cambiamento senza precedenti,
una fase della quale non si può prevedere la durata e che non si sa a
quali risultati possa portare», spiega Antonio Barroso, analista
politico di Teneo Intelligence. «A Madrid - aggiunge Barroso - avremo
con tutta probabilità un governo debole e questo frenerà certamente la
realizzazione di riforme economiche significative nella prossima
legislatura. D’altro canto, l’incertezza rende davvero difficile
qualsiasi sconvolgimento politico».
Il premier uscente Rajoy
insiste sulla ripresa economica e promette di abbassare le tasse dopo
anni di austerity imposta dalla troika, nonostante lo scontro con
Bruxelles sul deficit pubblico al 5,1% e il debito oltre il 100% del
Pil. «Per la prima volta dal 2010 i disoccupati sono meno di quattro
milioni. Il percorso che abbiamo scelto è quello giusto. Continuiamo
così», ha ripetuto il leader conservatore. Il tasso di disoccupazione
resta tuttavia altissimo al 21% e per i popolari è difficile contenere
la protesta contro la casta e la corruzione. Inoltre, l’economia
spagnola, che dovrebbe crescere del 2,6% anche quest’anno, ha iniziato a
rallentare.
Iglesias sembra aver fatto la mossa giusta alleandosi
con Izquierda Unida, i comunisti-repubblicani spagnoli: la formazione
Unidos-Podemos, insieme possiamo, potrebbe diventare la seconda forza
del Paese e la prima della sinistra spagnola scavalcando i socialisti.
Iglesias ha già proposto a Sanchez una coalizione di governo che secondo
i sondaggi potrebbe essere molto vicina alla maggioranza assoluta di
175 seggi in Parlamento: «Come potrai spiegare ai tuoi elettori che
preferisci la destra di Rajoy al cambiamento di Podemos», ha chiesto
Iglesias incalzando il leader socialista.
Sanchez, e più di lui la
nomenklatura del partito socialista, non intendono scendere a patti con
«un movimento di populisti, inaffidabili che vogliono sfasciare il
Paese». Il voto darà la misura delle ambizioni anche di Albert Rivera
che non ha rinunciato a fare di Ciudadanos il perno di un governo di
unità nazionale, traendo così vantaggio dall’incertezza.
«Il nuovo
Parlamento sarà ancora molto frammentato. Pensiamo - dicono Apolline
Menut e Antonio Garcia Pascual di Barclays - che si potrà arrivare a un
governo di minoranza prima della pausa estiva. Ma sarà, in ogni caso, un
governo che non avrà la forza di premere sulle riforme. Questa inerzia
potrebbe avere conseguenze negative sulla crescita: la Spagna ha bisogno
di interventi sul bilancio pubblico (attenuando il rischio che viene
dalla spesa delle regioni, per aumentare le entrate e assicurare la
sostenibilità delle pensioni) e sul mercato del lavoro (riducendo la
dualità e la disoccupazione di lunga durata)».
Gli analisti sono
concordi, il rischio politico penalizzerà a lungo la Spagna e gli asset
spagnoli continueranno ad essere sottovalutati rispetto ai fondamentali
economici. La Spagna tuttavia non presenta una criticità specifica
rispetto alla periferia dell’Eurozona. «Madrid non sta così male se si
guarda all’instabilità del Portogallo, alle persistenti tensioni sulla
Grecia, e anche al referendum costituzionale che si terrà in Italia in
ottobre», dicono ancora gli analisti di Barclays. Ma fino a quando la
Spagna potrà restare bloccata sulle scrivanie dei ministeri?