il manifesto 20.6.16
Loi Travail: non finisce qui
Movimenti.
La repressione della polizia e le minacce di Hollande e Valls di
proibire i cortei non fermano il movimento contro la riforma del lavoro
«El Khomri»: giovedì 23 e martedì 28 giugno si torna a manifestare in
Francia. Il racconto della «convergenza delle lotte»: ecco come
studenti, sindacati, cittadini si sono dati il cambio nei quattro mesi
di conflitto totale contro i socialisti. Una generazione militante è
uscita dal torpore. Un’altra ha iniziato a vivere
Parigi 14 giugno
di Jamila Mascat
PARIGI
Una lotta non è un torneo amatoriale che si conclude con la placida
soddisfazione di aver partecipato. Ancora meno nel caso della
mobilitazione contro la riforma del mercato del lavoro, la «Loi el
Khomri»: giovedì 23 e martedì 28 giugno si torna a manifestare in
Francia. Nonostante la repressione del governo socialista, le granate
della polizia, i 1500 lacrimogeni lanciati a Parigi il 14 giugno.
Centinaia di feriti da percosse ed esplosioni: la stima è dei volontari
«Streetmedics», le unità mobili addette al primo soccorso dei
manifestanti in piazza. Uno dei feriti è molto grave con la nuca bucata.
L’incontro tra la ministra del lavoro El Khomri e il segretario
nazionale della CGT Philippe Martinez di venerdì scorso ha confermato
che non c’è trattativa. Il movimento chiede il ritiro della legge, ma il
suo iter parlamentare prosegue in Senato. Il braccio di ferro con il
governo, visibilmente determinato a non fare marcia indietro, ha
raggiunto una fase di stallo.
La staffetta delle lotte
Finora
la ginnastica del movimento è stata sufficientemente agile per dare
continuità alla staffetta delle lotte. Da marzo gli studenti hanno
aperto le danze cominciando a perturbare le piazze, per conto proprio o a
fianco dei sindacati ancora in sordina, da aprile la Nuit debout ha
occupato la Place de la République sfidando quotidianamente le
restrizioni imposte dallo stato di emergenza prolungato fino all’estate;
a maggio è iniziata la ronda degli scioperi, quelli veri, all’appello
di CGT, Force Ouvrière e Solidaires. Da metà di maggio sette raffinerie
su otto sono rimaste paralizzate o quasi per circa tre settimane
lasciando a secco il 20 per cento delle pompe di benzina. Nei terminal
petroliferi di Fos-sur-Mer e Lavéra, nel porto di Marsiglia, gli
scioperi hanno impedito il carico e scarico di 25 gassiere. Il porto
atlantico di Saint Nazaire, altro snodo fondamentale del traffico
energetico, è rimasto chiuso per giorni.
Il gruppo Total ha
minacciato di ritirare i propri investimenti dal suolo nazionale. Le
perdite per la compagnia durante le tre settimane di inattività delle
raffinerie sono state stimate in 130 milioni di euro. Le centrali
nucleari hanno ridotto la produzione di energia, e i conduttori
ferroviari rallentato la circolazione dei treni, rischiando di essere
richiamati in servizio su Parigi e dintorni per il debutto degli
Europei. E sempre per inaugurare l’inizio del campionato, dai primi di
giugno i netturbini municipali degli inceneritori e dei depositi di
rifiuti di Ivry-sur-Seine e Saint-Ouen hanno incrociato le braccia,
costringendo la sindaca della capitale, Anne Hidalgo, a trovare
soluzioni di emergenza per rimuovere i cumuli di rifiuti ammassati nella
metà degli arrondissments della città.
L’ opposizione ha invocato
la requisizione delle raffinerie, come aveva fatto Sarkozy nel 2010 per
fermare il movimento contro la riforma delle pensioni. Un’operazione
denunciata dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) secondo
la quale «le motivazioni economiche non possono essere evocate per
giustificare le restrizioni del diritto di sciopero». Pierre Gattaz, il
presidente di Confindustria (Medef) ha dato dei «terroristi» ai
dirigenti della Cgt, El Khomri ha accusato duramente i lavoratori di
aver «preso in ostaggio» il popolo francese, e Valls ha definito
«inaccettabile» il tentativo dei sindacati di «bloccare il paese» e
«colpirne gli interessi economici».
«Operazione Robin Hood»
Dopo
la minaccia di Hollande di vietare alla Cgt altre manifestazioni per
ragioni di ordine pubblico, le intimidazioni verbali non sono state le
uniche repliche. Ovunque i lavoratori in sciopero si sono scontrati con
le pressioni delle direzioni aziendali e gli interventi marziali delle
forze dell’ordine. A Fos-sur-Mer, Lavéra, Donges, Lorient, Brest,
Rennes, Douchy-les-mines, la polizia ha evacuato i picchetti che
bloccavano da giorni l’accesso ai depositi petroliferi. E nel deposito
SIM di Gonfreville-l’Orcher in Normandia, il terzo più grande d’Europa,
la prefetta del dipartimento di Seine-Maritime ha autorizzato il ricorso
al personale in servizio non qualificato per far ripartire i
rifornimenti di kerosene verso gli aeroporti parigini. Davanti alle
raffinerie per giorni i lavoratori hanno incendiato i pnemautici per
tenere in vita i picchetti.
A Valenciennes, il 29 maggio, l’unione
dipartimentale della Cgt, insieme ai collettivi antifascisti locali, ha
improvvisato uno spettacolo pirotecnico davanti alla prigione di
Sequedin, dove era stato incarcerato preventivamente Antoine, un giovane
militante sindacale, accusato di resistenza a pubblico ufficiale
durante una manifestazione a Lille, e ora, dopo il processo, condannato
insensatamente a 10 mesi di reclusione.
Nel settore dell’energia i
dipendenti di Edf e Enedis hanno rilanciato l’operazione «Robin Hood»
già inaugurata nel 2004 all’epoca della protesta contro le
privatizzazioni. Così, hackerando gli impianti elettrici hanno ridotto
temporaneamente le tariffe di consumo per centinaia di migliaia di
utenti delle banlieue di Parigi. Per divertirsi hanno interrotto la
corrente nella residenza di Gattaz a Saint-Raphaël, e nel municipio di
Tulle, in Corrèze, feudo elettorale di François Hollande.
Il mutualismo dei ferrovieri
A
sostegno ai grévistes le iniziative di solidarietà sono state numerose.
La campagna finanziaria lanciata dalla Ctg Info-Com ha raccolto finora
oltre 450mila euro. Nei giorni scorsi è iniziata la distribuzione degli
assegni di sostegno ai comitati di sciopero che vanno avanti da
settimane. Il comitato dei ferrovieri della Gare d’Austerlitz, uno dei
più combattivi su Parigi, mobilitato da circa un mese, ha ricevuto
20mila euro. Molti degli cheminots non sono affiliati a nessuna
organizzazione sindacale e non nutrono alcuna simpatia nei confronti
della Cgt. Come altri militanti della base del sindacato, temono che la
direzione finisca per accettare di firmare il decreto che prevede la
riforma statutaria della Sncf, una Loi Travail versione ferrovie dello
stato.
Ventimila euro sono stati incassati anche dal comitato dei
netturbini di Ivry-sur-Seine, nell’ultimo periodo i principali
protagonisti delle perturbazioni nella capitale. Le montagne di rifiuti
intassate sui marciapiedi parigini, insieme al panico da penuria di
carburante nelle stazioni di servizio francesi, hanno efficacemente
imposto agli occhi di tutti lo spettacolo del lavoro e dei lavoratori
invisibili nella lotta contro il capitale e il suo governo.
«Ce
l’abbiamo messa tutta», dice Eric Sellini, della CGT Total, “e in ogni
caso non finirà qui”. Qualsiasi cosa decida la confederazione sindacale
rispetto alle trattative con il governo, infatti, la mobilitazione
contro la Loi el Khomri ha conquistato sul terreno della lotta – per la
varietà delle forme sperimentate, dalle più classiche alle più inventive
– una serie di risultati destinati a durare. Per primo il battesimo o, a
seconda dei casi, il ritorno di una pratica del conflitto che ha scosso
dal torpore una generazione militante e ne ha iniziata un’altra.
«Tout le monde déteste le PS»
La
frattura definitivamente consumata tra il Partito socialista e il
popolo della gauche che finirà inevitabilmente per ripercuotersi sulle
prossime elezioni presidenziali: in quanti contro lo spauracchio del
Front National e dell’estrema destra saranno ancora disposti ad
appoggiare la sinistra destra dei socialisti? Non solo tout le monde
déteste la police, ma ora, meglio tardi che mai, tout le monde déteste
le PS. Infine di fronte all’offensiva di una repressione sistematica che
ha colpito indistintamente tutti (studenti e sindacalisti, giovani e
lavoratori di ogni sorta), la lotta di classe è stata costretta a
cimentarsi giorno dopo giorno con le ingiustizie della giustizia di
classe, mostrando che non c’è guerra contro la macchina capitalista che
possa esimersi dal misurarsi con la violenza dei suoi apparati. Quella
violenza, insaziabile, arrogante e volgare, ha fatto irruzione sulla
scena senza veli.
In un intervento presentato nel 1968 al Comité
de lutte contre la répression alla Mutualité di Parigi, Sartre diceva
che la repressione a volto scoperto non è altro che una manifestazione
ufficiale della guerra permanente che il sistema combatte contro i
lavoratori. Che si tratti di sfruttamento o manganelli, la matrice è la
stessa. Per questo, per la nudità a cui espone il comando, la
repressione rappresenta un «momento di verità». Il testo, poi pubblicato
dal Nouvel Observateur, è intitolato «Il n’y a pas de bon gaullisme».
In questo stesso senso la Loi travail ha impartito una lezione che tutti
nei mesi a venire saranno costretti a ricordare: non solo che,
parafrasando, non può esserci un buon capitalismo, ma anche che non può
esistere una sinistra capitalista di governo che si comporti
diversamente da come si sta comportando.