Il Sole 2.6.16
Il contesto storico
Gli italiani tornano a decidere del loro destino in un Paese lacerato e in macerie
La prima scelta libera dopo 20 anni di dittatura
di Valerio Castronovo
Un
Paese devastato dai bombardamenti aerei susseguitisi dall’inizio della
guerra e dalle operazioni belliche avvenute (dopo lo sbarco nel luglio
1943 degli anglo-americani in Sicilia) nel corso dell’avanzata degli
Alleati lungo la Penisola, contrastata accanitamente sino all’ultimo dai
tedeschi. Ma anche un Paese lacerato, durante i 640 giorni della
Repubblica di Salò, da una “guerra civile” fra quanti, dopo l’8
settembre 1943, avevano scelto di militare nella Resistenza contro il
nazifascismo per la causa della libertà e chi aveva combattuto a fianco
della risorta dittatura mussoliniana e della Germania di Hitler.
Questa
era l’Italia all’indomani della Liberazione. La possibilità di
risollevarsi dallo sfacelo dell’economia e da un profondo degrado
sociale sembrava un’impresa irrealizzabile. Oltre a una catena di
violenze politiche, dilagavano la criminalità organizzata, la
microdelinquenza e la prostituzione; mentre la malavita aveva buon gioco
nel praticare il contrabbando e la borsa nera. Ma, dopo tante
sofferenze e tribolazioni, era diffuso, in compenso, fra la gente un
grande spirito di solidarietà.
Lo Stato, di cui la monarchia e il
governo Badoglio avevano cercato di preservare la continuità
istituzionale, era a pezzi e la sua sovranità messa in discussione da
movimenti separatisti e spinte centrifughe. Per risalire la china,
occorreva ricreare anche l’etica pubblica e il senso del bene comune.
In
queste drammatiche condizioni (poi aggravate dalle dure clausole del
trattato di pace, per il mancato riconoscimento della cobelligeranza
dopo il 1943 del governo del Sud e della lotta partigiana contro
l’occupazione nazista) furono i principali partiti di massa a costituire
l’impalcatura delle nuove istituzioni democratiche; ma importante fu
anche il ruolo del Partito d’Azione e di quello Liberale per la
formazione di un sistema politico pluralista.
È vero che
esistevano forti divergenze ideologiche e di prospettiva, quali erano
emerse fin dal governo Parri, costituitosi nel giugno 1945, quale
espressione del Comitato di liberazione nazionale. Ma finì col
prevalere, pur tra persistenti contrasti di visuali tra i partiti di
centro e quelli di sinistra, l’esigenza di provvedere innanzitutto alle
necessità più urgenti della popolazione (soprattutto all’estrema carenza
di viveri e abitazioni) e alla ricostruzione del Paese dalle macerie
(dalla riattivazione delle fabbriche al ripristino dei servizi pubblici
essenziali), nonché a stabilire rapporti di fiducia con i rappresentanti
degli Alleati in Italia, da cui dipendevano anche gli aiuti delle
Nazioni Unite.
In ogni caso, un punto su cui tutte le forze
politiche concordavano era di affrontare al più presto la questione
cruciale dell’assetto istituzionale. Perciò il governo formato nel
dicembre 1945 dal leader democristiano Alcide De Gasperi fissò la data
del 2 giugno 1946 per le elezioni dell’Assemblea costituente e il
referendum sulla forma istituzionale dello Stato.
Si trattava non
solo della prima consultazione libera dopo vent’anni di dittatura, per
cui gli italiani tornarono a decidere il destino del loro Paese; ma
anche della prima volta in cui le donne venivano ammesse al voto, a
riconoscimento delle istanze di emancipazione che le loro rappresentanti
avevano avanzato subito dopo la fine della guerra.
L’abdicazione
di Vittorio Emanuele III a favore del figlio Umberto II (che dal giugno
1944 svolgeva le funzioni di luogotenente del Regno) rappresentò un
estremo tentativo per salvare l’immagine della dinastia sabauda,
altrimenti screditata, in quanto pesavano sul vecchio sovrano la fuga da
Roma nel settembre 1943, che aveva lasciato l’esercito allo sbando,
oltre alla responsabilità di aver aperto le porte nell’ottobre 1922 a
Mussolini (anche per l’incapacità della classe dirigente di bloccare
l’avanzata del fascismo) e firmato poi le leggi razziali nel 1938.
Al
referendum l’opzione repubblicana vinse superando di due milioni di
voti quella a favore della monarchia. La consultazione confermò peraltro
la spaccatura del Paese: nel Nord e nel Centro prevalsero i suffragi
per la repubblica, mentre al Sud furono quelli per la monarchia ad avere
la meglio. In seguito a questo risultato, pur contestato dai suoi
sostenitori con accuse di brogli, il 13 giugno Umberto II prese la via
dell’esilio in Portogallo, dando così una prova concreta di
responsabilità che evitò gravi incognite per la sorte del Paese.
Nelle
elezioni per l’Assemblea costituente la Democrazia cristiana si affermò
come il primo partito con più di un terzo dei voti. E da allora i 556
costituenti (fra cui figuravano 21 donne) si accinsero a elaborare una
Costituzione (tuttora in vigore), che diede vita a un sistema
parlamentare. Avendo vissuto l’esperienza di una deriva autoritaria, i
costituenti optarono infatti per un modello incentrato sul Parlamento
invece che sul governo, per garantire la massima rappresentanza
possibile a tutte le forze politiche. Insieme all’istituzione di alcune
Regioni a statuto speciale (per via di una loro specifica identità
linguistica e culturale) e a un istituto di democrazia diretta (come il
referendum abrogativo, che consentiva al corpo elettorale di esprimersi
in merito alla cancellazione di una legge o parte di essa), l’aspetto
più innovativo della Costituzione consisteva nell’enunciazione di alcuni
importanti principi di carattere sociale, come il riconoscimento del
“diritto al lavoro” e l’affermazione che il diritto di proprietà privata
poteva essere limitato qualora non fosse risultato compatibile con la
“sua utilità sociale”. D’altro canto, ciò valse a recepire le richieste
dei partiti di sinistra, trovatisi sotto la pressione dei loro militanti
che avevano concepito la Resistenza non solo come una guerra
patriottica contro i tedeschi invasori, ma anche come una guerra di
classe. Inoltre il leader comunista Palmiro Togliatti ritenne che si
dovesse, pur sancendo il principio della laicità dello Stato, inserire
nell’ordinamento costituzionale il Concordato del 1929, per evitare
gravi lacerazioni in un Paese dove le masse popolari erano per lo più di
fede cattolica.
Di lì a pochi giorni sarebbe avvenuta, per i
dissidi insorti sulle misure di Luigi Einaudi per arginare una
disastrosa inflazione, una prima rottura della coalizione fra le forze
antifasciste, divenuta poi definitiva, nell’incipiente clima della
“guerra fredda”, fra la Dc (con i suoi alleati di centro) e la sinistra
social-comunista, in vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948.