Il Sole 10.6.16
La Cassazione: per gli statali l’articolo 18 resta
I giudici cambiano orientamento: «Nel pubblico impiego non valgono riforma Fornero e Jobs Act»
di Gianni Trovati
ROMA
Contrordine. Negli uffici pubblici l’articolo 18 rimane quello scritto
nel 1970, e la legge Fornero del 2012 (così come il Jobs Act del 2014)
restano confinati al mondo privato. Lo ha stabilito la Cassazione nella
sentenza 11868/2016 depositata ieri dalla sezione lavoro, analizzando il
caso di un dipendente del ministero delle Infrastrutture che risultava
in servizio negli stessi giorni sia a Roma sia a Bussolengo, una
quindicina di chilometri a ovest di Verona, senza traccia di viaggi
aerei. La decisione, che ha comunque confermato il licenziamento perché i
fatti erano provati, si dilunga però sull’articolo 18 e va in senso
contrario a quanto la stessa sezione aveva scritto a novembre nella
sentenza 24157 del 2015. In quell’occasione, con una decisione
innovativa che aveva fatto discutere, i giudici avevano aperto le porte
della pubblica amministrazione alla riforma Fornero, che in pratica
limita la reintegra ai casi di «manifesta insussistenza» delle ragioni
alla base del licenziamento, con un ragionamento che avrebbe potuto
portare anche all’applicazione delle «tutele crescenti» previste dal
Jobs Act per gli assunti dal 7 marzo del 2014.
A dividere i
giudici (solo uno dei cinque componenti del collegio è stato della
partita in entrambe le occasioni) è il frutto di un intrico normativo
figlio dei tanti tira e molla che hanno accompagnato un tema a così alta
sensibilità politica. Il testo unico del pubblico impiego scritto nel
decreto legislativo 165 del 2001 spiega, all’articolo 51, che ai
dipendenti pubblici «contrattualizzati» (cioè tutti tranne professori
universitari, magistrati e militari) si applica lo Statuto dei
lavoratori con le sue «successive modificazioni ed integrazioni». Dal
canto suo la riforma Fornero (legge 92/2012) riscrive i meccanismi di
tutela per i licenziamenti economici e sottolinea che le novità
«costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di
lavoro» negli uffici pubblici. Tocca però al ministro per la Pa e
l’Innovazione il compito di definire «ambiti, modalità e tempi
dell’armonizzazione»: ma né il governo Monti né quello successivo
guidato da Letta si sono avventurati su questo terreno, e con Renzi è
intervenuta la riforma Madia che nelle prossime settimane dovrebbe
ridefinire la questione nel nuovo decreto sui lavoratori pubblici.
In
questa architettura normativa incerta, hanno trovato argomenti sia i
sostenitori delle evoluzioni dell’articolo 18 anche negli uffici
pubblici sia i fautori della sua immutabilità nella versione del 1970.
Nella sentenza di novembre, che aveva lanciato la prima ipotesi, i
giudici avevano sottolineato gli adeguamenti “automatici” del testo
unico del pubblico impiego alle riforme dello Statuto dei lavoratori,
mentre nella decisione di ieri l’accento è andato sul fatto che le
regole attuative previste per l’estensione della riforma Fornero alla Pa
non sono state scritte.
Fin qui la discussione da giuristi, che
lascerebbe tuttavia incerta la sorte delle «tutele crescenti» nel
pubblico impiego perché il rinvio alle norme attuative era previsto
nella legge Fornero (articolo 1, comma 8)?ma non nel Jobs Act;?la stessa
Cassazione, peraltro, sottolinea l’immediata applicazione al pubblico
impiego di altre regole che non contemplavano un ulteriore passaggio
attuativo, come il rito Fornero per l’impugnazione del licenziamento.
La
sentenza depositata ieri dalla suprema corte non trascura però
questioni più sostanziali. Secondo i giudici, la legge Fornero nelle sue
finalità «tiene conto unicamente delle esigenze proprie dell’impresa
privata», e di conseguenza la riformulazione dell’articolo 18 «introduce
una modulazione delle sanzioni pensate in relazione al solo lavoro
privato». Una revisione delle tutele richiederebbe per i giudici «una
ponderazione diversa degli interessi», perché?nelle aziende private c’è
da difendere solo il singolo lavoratore mentre nell’amministrazione
pubblica bisogna pensare alla «protezione di più generali interessi
collettivi». I?sindacati ovviamente esultano, a partire dalla segretaria
generale della Cgil secondo cui «la sentenza della Cassazione dimostra
che le istituzioni continuano a funzionare», mentre i giuslavoristi
parlano di «disuguaglianza insostenibile fra pubblico e privato».
gianni.trovati@ilsole24ore.com.