il manifesto 8.6.16
L’occupazione israeliana ha distrutto progetti Ue per 65 milioni di euro
Lo rivela l'Ong "Euro-Mediterranean Human Rights Monitor"
In
cinque anni, dal 2011 al 2015, l'Unione europea ha perduto a causa di
operazioni militari israeliane e di demolizioni 63 milioni di euro a
Gaza e due in Cisgiordania
Bruxelles però non protesta
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Il grosso l’ha fatto a Gaza l’offensiva israeliana “Margine protettivo”
con i suoi bombardamenti devastanti. Il resto le ruspe mandate dalle
autorità militari a demolire strutture edilizie e infrastrutture “non
autorizzate” nell’Area C, il 61% della Cisgiordania che resta sotto il
pieno controllo dell’esercito israeliano 23 anni dopo la firma degli
Accordi di Oslo. In cinque anni, dal 2011 al 2015, l’Unione europea ha
perduto in questo modo circa 65 milioni di euro, 63 a Gaza e due in
Cisgiordania. Erano soldi del contribuente europeo investiti in progetti
a sostegno dell’economia, dell’istruzione, di infrastrutture e molto
altro nei centri abitati palestinesi, piccoli e grandi, nell’Area C,
oppure nella Striscia di Gaza. Perdite ingenti alle quali però non sono
seguite proteste o condanne pubbliche da parte dell’Unione europea. Un
atteggiamento diverso, almeno in parte, dal passato. L’Ue fece sentire
la sua voce negli anni della seconda Intifada palestinese (cominciata
nel 2000) quando la rioccupazione da parte di Israele delle città
autonome della Cisgiordania, avvenuta nella primavera del 2002, fu
accompagnata da non poche distruzioni di progetti finanziati dagli
europei. Lo stesso l’Ue fece durante e dopo l’operazione militare
israeliana “Piombo fuso” a Gaza (2008). Stavolta invece resta in
silenzio.
A calcolare queste decine di milioni andate in fumo è
stata l’Ong di Ginevra “Euro-Mediterranean Human Rights Monitor” che tra
qualche giorno pubblicherà i dati completi in un rapporto che sarà
consegnato all’Ue. Nei primi tre mesi del 2016, sottolinea l’Ong, il
numero delle demolizioni in Cisgiordania è cresciuto di tre volte,
passando da 50 strutture abbattute mensilmente nel triennio 2012-15 a
165 distrutte mediamente tra gennaio e marzo di quest’anno. 120 di
queste strutture edilizie e altre infrastrutture costruite a vantaggio
della popolazione civile palestinese erano state finanziate con fondi
dell’Ue. 31 associazioni per i diritti umani nel 2015 hanno condannato
la distruzione di tante proprietà palestinesi e di progetti
sponsorizzati dalla cooperazione internazionale, non solo europea,
dichiarati “illegali” dalle forze di occupazione israeliane.
Nell’ultimo
anno Israele ha fatto la voce grossa con l’Europa, accusata di
finanziare iniziative per i civili palestinesi – come la costruzione di
stradine agricole, reti idriche locali per l’irrigazione e l’acqua
potabile, strutture edilizie scolastiche o per l’allevamento e tanto
altro – senza prima ricevere il via libera dell’Amministrazione Civile
che per conto dell’esercito “governa” i palestinesi sotto occupazione
nell’Area C. Le autorizzazioni però sono concesse con il contagocce. Il
98% dei permessi richiesti, secondo un calcolo fatto dai palestinesi,
viene respinto perchè Israele pianifica l’annessione futura di ampie
porzioni (di tutta chiede Casa ebraica) dell’Area C dove si trovano il
10% circa della popolazione palestinese della Cisgiordania e gran parte
dei coloni ebrei residenti degli insediamenti costruiti in Cisgiordania
in violazione della legge internazionale. A questo si aggiunge anche
l’irritazione di Israele per la decisione presa dalla Commissione
europea di richiedere una etichettatura diversa dal “Made in Israel” per
le merci prodotte negli insediamenti colonici perchè si trovano nella
Cisgiordania occupata.
I risultati dell’indagine dell’Ong
“Euro-Mediterranean Human Rights Monitor”, sono stati anticipati da al
Jazeera nel giorno in cui il ministro dell’agricoltura Uri Ariel, del
partito nazionalista religioso Casa ebraica, è tornato ad insistere per
l’annessione unilaterale a Israele, definitiva e ufficiale, della Area C
preceduta, ha spiegato, dall’«allontanamento» delle «poche migliaia di
arabi» che ci vivono (in realtà i palestinesi che vi risiedono sarebbero
circa 300mila). Ariel non ha spiegato come verrebbero “rimossi” i
palestinesi dalle loro terre e dalle loro case. Storicamente una parte
della destra israeliana, o almeno quella più estrema, ha sempre visto
nel “transfer”, ossia la deportazione di quote di popolazione
palestinese, come una soluzione. Le idee di Ariel sono state bollate
dall’Autorità nazionale palestinese come «istigazione» e «odio». «Non è
la prima volta che esponenti israeliani indulgono ad una retorica senza
senso, razzista e disumanizzante nei confronti dei palestinesi» ha
commentato Jamal Dajani, direttore delle comunicazioni del primo
ministro dell’Anp Rami Hamdallah.