giovedì 9 giugno 2016

Corriere 9.6.16
Hillary celebra la «pietra miliare» ma Sanders rifiuta di farsi da parte
Clinton si aggiudica anche la California e consolida la nomination democratica
di Giuseppe Sarcina

NEW YORK Le strategie di Hillary Clinton e di Donald Trump, di fatto, sono pronte. La «presumptive nominee», la nominata in pectore dei democratici, ha già cominciato a rappresentare il miliardario newyorkese come un pretendente «pericoloso», non solo perché «razzista» o «xenofobo», ma soprattutto perché «incompetente» e «velleitario». La prova generale si è vista il 2 giugno, in un comizio a San Diego sulla politica estera. L’ex Segretario di Stato ha sviluppato le implicazioni contenute nelle proposte di Trump, prefigurando uno scenario di isolamento per gli Stati Uniti e di instabilità planetaria. Hillary adotterà lo stesso metodo continuando la serie con l’economia, la sicurezza interna, le politiche energetiche e ambientali, l’educazione, la salute. L’obiettivo è attirare una parte dei moderati repubblicani, sempre più a disagio con le sortite del loro portabandiera. L’ultima quella sui giudici di origine messicana, incapaci di «giudicare con obiettività».
Lo staff di Trump, guidato dal consigliere Paul Manafort , si sta concentrando da settimane sull’evoluzione presidenziale del candidato conservatore. Ma finora, oggettivamente, non si è vista traccia di questo lavoro. Il tycoon preferisce puntare sugli attacchi personali, sul «carattere inaffidabile di Hillary». Ora sta raccogliendo fatti antichi e recenti sulla famiglia dell’avversaria, dalla stagista Lewinsky alle mail riservate dell’ex Segretario di Stato, fino ai finanziamenti della Fondazione Clinton. Con questo materiale Trump confezionerà il discorso molto aggressivo, già fissato per la settimana prossima. Dovrebbe essere il primo di una lunga sequenza, da qui a novembre.
C’è, però, ancora un’incognita importante, in un Paese che è uscito dalle primarie con un assetto tripolare: il populismo di Trump, il centro sinistra di Clinton e l’area radicale di Sanders. Che cosa farà il senatore del Vermont? Ieri notte, parlando a Santa Monica, in California, ha rilanciato la sua campagna, tra le ovazioni. Il leader settantaquattrenne ha detto che «non si può consegnare il governo del Paese a Trump»: la folla ha risposto con un boato e con i fischi. Poi il senatore ha riferito di «aver avuto una cordiale telefonata» con «Secretary Clinton», ma dalla platea è arrivato un prolungato «buuu». Sanders, tuttavia, ha fallito l’ultimo assalto, perdendo in maniera netta in California: 43,2% contro il 55,8% della rivale. I sondaggisti e tutti noi ci aspettavamo un testa a testa o addirittura un’affermazione dell’outsider. Previsioni, analisi sbagliate. Ma la vittoria di Hillary non ha risolto il suo problema politico ora più urgente: come recuperare l’elettorato anti-establishment di sinistra che ha innervato, con grande entusiasmo, la stagione di Bernie? Come evitare che Trump possa infiltrarsi nel «movimento», pescando tra quel 25% di elettori che dice di non essere disponibile a votare Hillary? C’è solo un modo per farlo: trovare un’intesa con lo sconfitto. E questo, al momento, è il passaggio più complicato.
Su una cosa, però, i due concordano. Occorre un mediatore, un garante: serve l’uomo che siede alla Casa Bianca. Barack Obama si è già fatto vivo sia con l’una che con l’altro. Ma è significativo che sia stato proprio il senatore del Vermont a sollecitare un colloquio approfondito con il presidente. I due si vedono oggi a Washington. Che cosa chiede Sanders? Per il momento ha ottenuto un risultato minimo: piazzare 5 suoi collaboratori tra i 15 componenti del comitato ristretto che lavorerà alla piattaforma programmatica, da approvare nella Convention di Filadelfia, il 25 luglio prossimo.
Evidentemente non basta. Il leader movimentista vuole che siano recepite alcune delle sue proposte, appoggiate da 10 milioni di persone: sanità e università gratuite per tutti, più tasse per i «millionaires e billionaires», stretta sui finanziamenti alla politica. Idee radicali, secondo i parametri ideologici degli Stati Uniti. Tocca a Obama suggerire un compromesso non facile .