il manifesto 7.6.16
Un serrato vis-à-vis sull’indomabile bestia dell’utopia
Il dialogo tra Agnes Heller e Riccardo Mazzeo sull'utopia raccolto nel volume «Il vento e il vortice» (Erikson)
di Benedetto Vecchi
L’utopia
è una bestia ribelle, difficile da addomesticare. Esprime la visione di
un mondo «perfetto», dove non c’è posto per le ingiustizie e dove tutti
possono esprimere il meglio di sé nella vita pubblica e privata. Prima
avvertenza: l’immaginazione espressa sull’«isola che non c’è» è legata
sempre a una contingenza storica. Così nell’antichità i termini della
società perfetta differiscono da quelli enunciati nel Quattrocento, il
Seicento o nell’Ottocento. Questa centralità dell’«immaginazione
storica» è il filo rosso usato dalla filosofa Agnes Heller nel dialogo,
serrato, condotto con Riccardo Mazzeo, filosofo per formazione, studioso
attento di psicoanalisi e psicologia per passione, nel volume Il vento e
il vortice (Erickson, pp. 152, euro 14,50).
È un volume che
concede ben poco alla retorica, visto che entrambi gli autori sono
consapevoli che dietro un’utopia c’è sempre una distopia, cioè la sua
negazione nell’immaginare – di nuovo – una società dove le ingiustizie e
l’oppressione raggiungono l’acme. Si potrebbe dire che ogni utopia ha
come sorella (o fratello) gemella una visione orrorifica della società
del futuro. O del presente.
Il movimento teorico condotto dai due
autori ha come punto di partenza la storia delle idee, cioè come
l’utopia ha attraversato la filosofia e la teologia, da Thomas Moore a
Tommaso Campanella ai socialisti utopisti. Agnes Heller ha vissuto per
decenni in un paese che inseguiva il progetto di un nuovo mondo. Per
essi ha conosciuto la negazione della libertà e i gulag. I dirigenti
comunisti, annota, erano convinti militanti di un progetto politico teso
a costruire un mondo perfetto. Alla fine si è scoperto che per questo
sono diventati assassini.
A nulla vale opporre alla sua visione
semplicistica una documentata analisi storica sul fatto che di utopico
nel socialismo reale c’era ben poco. Sarebbe operazione inutile. Di
certo c’è il fatto che Agnes Heller considera entrambe le forme di
immaginazione storica antidoti teorici verso le storture delle «società
contemporanee». Guai però a farle diventare sia proposte in positivo per
il futuro o critiche immanenti al presente: sono solo campanelli di
allarme di qualcosa che non va nel lento, ma intrasformabile
amministrazione della realtà.
Riccardo Mazzeo obietta che l’utopia
non è solo immaginazione storica, ma anche sociale, cioè uno strumento
che serve non solo a criticare la realtà ma a fornire chiavi di accesso
alla sua trasformazione. Cita romanzi, testi della psicoanalisi,
sociologici. La sua argomentazione è convincente, ma il dubbio che
riesca a smuovere le certezze granitiche di Agnes Heller è più che
legittimo.
Una dubbio comunque si impone rispetto a questo volume:
vedere l’utopia come un esercizio effimero sul mondo che non c’è,
toglie la possibilità di pensarla come il mondo possibile che ha però
forti radici, traendone alimento, proprio nella realtà. Sarebbe u modo
per riconciliare immaginazione storica e immaginazione sociale.
L’elemento che rende l’utopia e la distopia le sorelle gemelle dello
status quo.