il manifesto 6.6.16
Referendum
No al reddito di base: sfuma il «sogno marxista» della Svizzera
Il
78% dei cittadini e la maggioranza dei cantoni elvetici vota contro
l'iniziativa per la Rbi. Vincono invece i «sì» a procedure più veloci e
meno costose per le richieste d’asilo
di Eleonora Martini
Il «sogno marxista» della Svizzera, come lo hanno chiamato i media locali e non, è naufragato nel voto referendario di ieri.
I
cittadini, ma soprattutto i cantoni elvetici hanno detto no al «reddito
di base incondizionato» (Rbi), una proposta avanzata da un gruppo di
movimenti indipendenti e di sinistra contro la quale si erano schierati
governo e parlamento.
Vince invece il pragmatismo riformista, con
il sì a procedure più rapide e meno costose per le richieste d’asilo e
la modifica della legge sulla procreazione medicalmente assistita che
autorizza la diagnosi preimpianto.
Con il 66% dei consensi circa,
viene approvata dunque la proposta avanzata dal governo – come
mediazione con lo schieramento anti immigrazione e con la destra
ultrazionalista dell’Udc – sulle procedure per le richieste d’asilo che
d’ora in poi dovranno essere espletate in un massimo di 140 giorni, che
siano accettate o respinte.
Ma gli occhi del mondo sono puntati su
quel circa 78% di elettori elvetici (e la maggioranza dei cantoni) che
ha respinto la proposta di una rendita di 2500 franchi svizzeri (circa
2300 euro) al mese per tutti gli adulti e di 650 franchi (570 euro) per i
minorenni. In realtà queste cifre erano state fatte durante la campagna
referendaria ma l’importo era solo indicativo e non era menzionato nel
quesito referendario.
In ogni modo, il sussidio sarebbe stato
versato per intero ai disoccupati, mentre lo Stato avrebbe provveduto a
integrare gli stipendi più bassi fino al raggiungimento della cifra, che
in Svizzera – si badi bene – è appena più elevata della soglia di
povertà, fissata attorno ai 2200 euro mensili.
Il responso
referendario era in qualche modo atteso perché governo e parlamento,
schierandosi contro anche per motivi di mercato del lavoro, avevano già
paventato un forte aumento dei prelievi fiscali, soprattutto quelli
sulle attività lucrative, e tagli alle spese, per coprire l’eventuale
finanziamento del Rbi.
E invece, secondo i promotori
dell’iniziativa – impresari e cittadini senza appartenenza politica, ma
anche movimenti ecologisti e gruppi di estrema sinistra, che avevano
raccolto 126 mila firme per promuovere il referendum – con il reddito di
base incondizionato e per tutti si sarebbe risolto il problema dei
posti di lavoro, destinati alla drastica riduzione a causa della
crescente informatizzazione e robotizzazione del lavoro.
Non
stupisca troppo il «no» dei cittadini svizzeri ad un reddito minimo
garantito (come si chiamerebbe in Italia), che probabilmente il Paese
elvetico avrebbe potuto agevolmente permettersi, perché – come ha fatto
notare Al Jazeera – «nel 2012 gli svizzeri hanno rifiutato l’aumento
delle settimane di ferie annuali da 4 a 6 per paura che la loro
competitività diminuisse».