il manifesto 6.6.16
Fassino-Appendino, testa a testa sotto la Mole
Comunali. Il capoluogo non è più un feudo sicuro per il Pd. Airaudo, il candidato della sinistra, sotto il 5 %
di Marco Vittone
TORINO
Dieci anni (luce) fa un testa a testa con qualsiasi sfidante esterno al
centrosinistra sembrava impossibile. Ora è, invece, realtà: a Torino
vanno al ballottaggio Piero Fassino (Pd) e Chiara Appendino (M5s). Nel
2006 la città della Mole era reduce dai recentissimi fasti olimpici e
regalava una vittoria bulgara a Sergio Chiamparino col 66% dei consensi.
A quel tempo la faceva da padrone la retorica di una città che era
riuscita a scrollarsi di dosso le grigia vestigia industriali. Il centro
scintillava, ma le crepe della crisi – del “buio oltre la Fiat” come si
intitolava un reportage profetico di Luca Rastello – erano già
presenti. Torino sarebbe presto diventata la città più impoverita del
Nord (record di disoccupazione giovanile nel 2014 col 49,9%) e anche il
sistema di potere che l’ha governata per 23 anni, da Valentino
Castellani a Piero Fassino, avrebbe incominciato a perdere consensi.
Cinque anni fa il 66% si è trasformato in un 56% e oggi, alle ultime
elezioni amministrative, ha fatto ancora un balzo indietro, sotto il
40%. Ecco, perché sembrano davvero dieci anni luce. E, adesso, Torino
non può più essere considerato un feudo sicuro del Pd, quello che con il
sindaco Fassino, scampato alla rottamazione, doveva saldare la vecchia
dirigenza con le ridanciane camicie bianche dei Renzi boys.
Ogni
speranza di vincere al primo turno per il Pd è parsa vana ai primi exit
poll. Fassino va al ballottaggio con Chiara Appendino del Movimento
Cinque Stelle, 31 anni, da subito la sfidante più agguerrita dell’ultimo
segretario dei Ds che qualche anno fa le aveva rivolto una rischiosa
profezia: «Venga lei a fare il sindaco e vediamo che combina». Fassino è
lo stesso che nel 2009 invitò Beppe Grillo a fondare un partito: «E
vediamo quanti voti prende…».
Oggi la candidata M5s punta alla
vittoria al secondo turno grazie al voto delle periferie su cui ha
centrato la sua campagna elettorale. Fassino viene dato nelle prime
proiezioni in una forbice tra il 41% e il 36% dei voti. Chiara Appendino
insegue e riscuote tra il 35 e il 36% dei voti. Ma a ogni voto
scrutinato i due sembrano più vicini. Restano indietro i vari brandelli
di un centrodestra diviso e litigioso: il leghista Alberto Morano tra
l’11% e l’7% e il centrista Roberto Rosso, che fu il primo sfidante di
Chiamparino nel 2001, al 4% come il candidato ufficiale di Forza Italia
Osvaldo Napoli. A Giorgio Airaudo, il candidato della sinistra
(appoggiato da Sinistra Italiana, Prc e diverse liste civiche), viene
assegnato un 4,1%,
Sotto la Mole si sono presentati 17 candidati a
sindaco con 34 liste a supporto, sono stati aperti per 16 ore 919 seggi
sparsi per la città corrispondenti a 696mila votanti. Ma ad andare al
voto è stato solo il 57,19% degli aventi diritti, 9 punti in meno
rispetto al 2011. Un dato più basso rispetto alla media nazionale in una
città invece storicamente molto sensibile al diritto di voto. Il quadro
dell’autorevole Rapporto Rota ha fotografato una metropoli polarizzata
dove aumentano sia i cittadini ad alto reddito sia quelli a bassissimo
reddito e dove gli stranieri soffrono di più la crisi. I quartieri che
maggiormente patiscono la condizione economica e sociale difficile sono
quelli del Nord della metropoli e sono quelli che non godono dei minimi
segnali positivi che investono, invece, altri segmenti della area
urbana.
Alla base della campagna elettorale vi è stata una visione
dicotomica. Il sindaco uscente ha rivendicato la riuscita della
trasformazione da città industriale fordista a città dei servizi e della
cultura. E ha portato ad esempio le masse di nuovi turisti, l’apertura
di musei, la riqualificazione del centro e i tanti grandi eventi. A
fronte di questi risultati perché è mancato il plebiscito per Fassino ed
è a rischio la vittoria dopo vent’anni di dominio incontrastato? Perché
questa trasformazione ha lasciato «buchi neri» in una città impoverita e
molti punti interrogativi sul futuro senza Fiat. L’uscita di scena del
Lingotto è stata accompagnata, non negoziata. Il Sistema Torino che, da
Castellani a Chiamparino fino a Fassino, ha dominato la città e ha
affrontato la transizione post fondista è forse giunto al termine. Anche
se il sindaco uscente vincerà al secondo turno.