Corriere 6.6.16
i veri rivali del governo
di Massimo Franco
È
una fotografia sgranata, quella che emerge dalle Amministrative di
ieri. Il Movimento 5 stelle continua ad avanzare a Roma e Torino, e il
Pd barcolla. Nelle grandi città, è tutto rinviato ai ballottaggi del 19
giugno. Ma aleggia lo spettro di una coalizione trasversale che converge
sui candidati ostili a quelli di governo, per sconfiggere il partito di
Matteo Renzi. Dalle percentuali di Milano, pur favorevoli, dal
vantaggio netto della candidata del M5S nella capitale e da quello del
sindaco uscente di Napoli, si capisce perché Renzi abbia detto che
queste elezioni non riguardano il governo nazionale. I motivi di
sollievo, per lui, non sono molti.
Nel cuore della notte non era
ancora chiaro se la sfida sarà tra Virginia Raggi e Roberto Giachetti.
Il candidato renziano rischia fino all’ultimo di non andare al
ballottaggio, superato da Giorgia Meloni, esponente di una destra
spaccata e in polemica con Silvio Berlusconi. E comunque, i consensi
della seguace di Beppe Grillo fanno pensare che la prima abbia buone
probabilità di spuntarla. Il fatto che il M5S sia diventato il primo
partito della capitale e l’affermazione di Giorgia Meloni su Alfio
Marchini, appoggiato da Berlusconi, ha altre due implicazioni.
La
prima è la difficoltà di Renzi a riaccreditare il Pd nella capitale.
Evidentemente, il malumore per gli scandali e per le faide interne ha
lasciato lividi profondi a sinistra. Troppo pesante l’ipoteca del
passato, e troppo modesto l’investimento per cancellarla anche per il
profilo di Giachetti, che ha raccolto meno voti della sua coalizione.
L’epilogo colpisce perché il Pd aveva davanti un centrodestra diviso. E
qui siamo a una seconda conseguenza riguarda il centrodestra: la
conferma della subalternità di FI al Carroccio.
A Milano FI e Lega
sono alleati. E le proiezioni che arrivavano durante lo spoglio, davano
un lieve vantaggio a Giuseppe Sala sul centrodestra di Stefano Parisi,
che però andrà verificato tra quindici giorni. Il tema più dirimente è
comunque la sfida Pd-M5S, dalla capitale a Torino. In più, Napoli premia
il sindaco uscente, Luigi de Magistris, nemico di Palazzo Chigi. E
nella stessa Torino, il dem Piero Fassino è in testa, ma tallonato dal
movimento di Grillo, che diventa il primo partito. È improbabile che
tutto questo possa destabilizzare il governo. Inserirebbe però elementi
di incertezza e tensione in vista del referendum sulle riforme
costituzionali di ottobre. E questa sarebbe una terza conseguenza
insidiosa.
Più i risultati sono negativi, più gli avversari di
Renzi contrasteranno la campagna per il «sì», utilizzando le
Amministrative come prima spallata in attesa di quella referendaria
contro il suo esecutivo. Bisognerà anche capire se la tendenza del
premier a minimizzare il significato del voto appena espresso,
continuerà di qui ai ballottaggi. È parsa una scelta corretta, eppure ha
alimentato il sospetto che volesse esorcizzare in anticipo una
sconfitta. Tra l’altro, i dati sulla partecipazione dicono che la lenta
emorragia degli elettori non si è fermata: soprattutto nelle grandi
città. E questo alimenta polemiche contro il governo per la scelta del 5
giugno.
Non ci sono più posizioni di rendita per nessuno. Vale
per il Pd. Per il centrodestra. E per il M5S, che da ieri ha da perdere
molto a sua volta: se non altro perché almeno a Roma è il principale
candidato alla vittoria.