il manifesto 6.6.16
California, testa a testa finale per Bernie e Hillary
Primarie Usa. Il risultato californiano dipenderà in gran parte da come voteranno neri e ispanici
di Luca Celada
LOS
ANGELES Le convulse primarie presidenziali americane sono al capolinea:
si concluderanno domani con elezioni nella mezza dozzina di stati
rimanenti Montana Dakota sud e nord, New Jersey, New Mexico e
California.
Alla vigilia del voto i tre candidati restanti hanno
concentrato le proprie forze in quest’ultimo, lo stato più popoloso e
più ricco di delegati – 172 per i repubblicani, ben 546 per i
democratici, e di enorme peso simbolico per entrambi i partiti. È stato
quindi un ultimo intenso weekend di campagna per tutti gli interessati.
Bernie ha attraversato instancabile lo stato passando dal comizio ad
Oakland introdotto dall’economista di Berkeley Robert Reich ad eventi a
Los Angeles con Susan Sarandon e un concerto al Colosseum sabato sera. I
sondaggi sembrano aver premiato i suoi sforzi, rivealndo un sostanziale
testa a testa fra lui e Hillary separate ora da uno o due punti
percentuali. L’unica costante du queste primarie è però stata
l’incostanza dei sondaggi: Hilary rimane favorita ma non si esclude un
colpo grosso di Bernie. «Se avessimo scommesso su questa situazione un
anno fa saremmo tutti milionari» ha detto Sanders sabato a un gruppo di
volontari nel suo centro operativo di Hollywood. «Ci davano 100 a 1».
Da
canto suo Hillary ha fatto di tutto per tenere l’attenzione su Donald
Trump nominando appena Sanders nei suoi numerosi comizi e facendo del
suo meglio per dare scontata al nomination. Con l’attuale conteggio è
probabile che domani possa dichiarare vittoria (raggiungendo la soglia
dei 2.383 delegati necessari) alla chiusura dei seggi in New Jersey,
prima ancora che si siano espressi i californiani (fra i due statsi c’è
una differenza di fuso orario di tre ore). Se anche fosse, una sconfitta
in California rappreseterebbe però un forte imbarazzo.
Non è un
caso che pur mentre ha sminuito la sua importanza Hillary negli ultimi
giorni si sia praticamente trasferita in California presenziando senza
sosta a comizi e incontri e arruolando infine Bill Clinton per una serie
di comizi nella comunità afro americana. Il risultato californiano
dipenderà in gran parte da come voteranno neri ed ispanici, generalmente
considerati favorevoli alla Clinton. Intanto Sanders registra un
vantaggio enorme fra gli elettori sotto i 40 anni (qualcosa come 6-1).
In qualche modo anche quest ultima campagna ha confermato la profonda
spaccatura all’interno del partito e come il candidato «socialista»
abbia in qualche modo ipotecato il suo futuro. Sanders lo ha ricordato
al comizio di Hollywood: «I nostri elettori hanno scelto un nuovo modo
di fare politica. Per questo noi siamo stati finanziati da milioni di
piccoli risparmiatori mentre i Clinton continuano a corteggiare Wall
street. Se vuole avere un futuro, il partito dovrà dire chiaramente se
ha intenzione di ascoltare il lavoratori di questo paese».
È
sembrato un anticipo delle istanze che Sanders porterà alla convention
di Philadelphia. Bernie chiede che rivengano messi in discussione i
«super delegates», i 600 e rotti grandi elettori assegnati dal partito
alla Clinton (come sorta di premio di favorita). Se questi fossero più
equamente distribuiti, il risultato rispecchierebbe più fedelmente
l’insospettata forza della nuova corrente progressista.
Una
opinione la California sembra comunque già averla espressa, la forte
avversione per Donald Trump. Da quando è dovuto sgattaiolare da un
uscita posteriore della convention repubblicana di San Francisco un mese
fa, il miliardario è stato perseguitato da contestazioni ad ogni sua
incursione in questo «territorio nemico» a pluralità ispanica e di forte
tradizione progressista.
La scorsa settimana ha visto disordini
ad Anaheim, San Diego, Fresno e per ultimo a San Josè. Oltre ai
contestatori al solito espulsi dai comizi, in ogni città presidi anti
Trump sono passati ai fatti coi trumpisti ed in ogni caso e sono stati
questi ultimi ad avere la peggio.
Le botte rimediate dai suoi
supporter non gli hanno impedito di rincarare la dose di razzismo
xenofobo, per ultimo aprendo un nuovo fronte contro il giudice federale
Gonzalo Curiel che lo ha rinviato a giudizio per una squallida storia di
truffe attorno a corsi di vendite immobiliari (l’istruttoria è prevista
a fine novembre). Secondo Trump il giudice di origine messicana non
sarebbe idoneo a giudicarlo in quanto forzatamente prevenuto contro un
«costruttore di muri sul confine».