il manifesto 4.6.16
«Remain», Cameron in tv non convince
Londra. «Autolesionismo la vittoria del leave». Scontento tra i tories
di Leonardo Clausi
LONDRA
Da consumato esperto di contraddittori qual è, David Cameron ha
affrontato il primo grande dibattito televisivo della campagna
referendaria: un’intervista con Faisal Islam, il caporedattore politico
di Sky News24, con tanto di (nemmeno troppo velatamente ostile) pubblico
in studio. La sua prima grande occasione per incendiare gli spiriti di
vibrante estasi eurofila.
Volendo saggiamente evitare lo
spettacolo gladiatorio di vari colleghi del suo partito che se le danno a
colpi di leave o remain davanti alle telecamere, il primo ministro
aveva imposto una serie d’interviste individuali a ciascun esponente
(ieri è stato il turno dell’(ex) amico Michael Gove, leader del fronte
del Leave) e la sua era, comprensibilmente, la più attesa.
Pur non
essendo affatto la Bbc – per tacere di Sky News – quel baluardo di
fulgida imparzialità giornalistica che il resto del mondo si ostina a
venerare, la serata non ha avuto nulla a che fare con le
telegenuflessioni praticate Per Necessità Familiari davanti al potente
di turno cui siamo fin troppo abituati in una certa penisola
mediterranea.
In 22 minuti di intervista, seguita da domande e
risposte, «Dave» ha tenuto il suo terreno non senza una certa fatica. Ha
cercato di giocare la parte del leader responsabile, che si occupa del
benessere economico del paese. Ma il messaggio sembrava provenire da un
ragioniere beige anziché da un leader politico, soprattutto quando ha
ammonito che ogni nucleo familiare perderebbe £4.300 sterline in caso di
uscita.
Ha operato una strenua difesa della propria
rinegoziazione dei trattati a Bruxelles, insistito ad nauseam che il
paese si trova in quello che ha accortamente ri-etichettato come
«mercato unico» che impone una libera circolazione di uomini e merci e
che uscirne significherebbe un immediato aumento dei prezzi e una
contrazione dell’economia. Riferendosi a una vittoria del Leave, ha
usato spesso l’espressione «ferita autoinflitta».
Islam (ex
Channel 4), astro crescente della telepolitica nazionale, lo ha
pungolato sulle ridicole promesse fatte sul controllo dell’immigrazione.
Cameron ha insistito nell’obiettivo di voler mantenere il livello netto
a 100.000 l’anno (al momento è 120.000). L’immigrazione è ora alta «per
via dei tempi straordinari che stiamo vivendo. Ma scenderà, dal momento
che l’economia europea è in ripresa». Già. In caso di vittoria del
Leave «Cosa viene prima, la terza guerra mondiale o la recessione
globale?», gli chiede a un certo punto il giornalista nell’ilarità
generale, ironizzando sui toni da tregenda che si levano da quasi tutti i
consigli di amministrazione della grande impresa nazionale e del
settore finanziario rispetto all’uscita. Quanto al «mamma li turchi»
innescato dal triste baratto fra Merkel e Erdogan per l’erezione della
muraglia turca antimigranti Cameron lo ha così liquidato: «Ci metteranno
3000 anni a entrare nell’Ue». Si chiama visione di lungo periodo.
Non
sarà stata una débâcle, quella di Cameron a Sky, e d’altro canto ha
dalla sua parte voci non esattamente minoritarie come il Fmi, l’Ocse, i
sindacati della Tuc e Mark Carney, il governatore della Bank of England.
Ultima in ordine di tempo, un’istituzione che da sempre ha fatto della
difesa dei diritti dei lavoratori la propria bandiera, la JPMorgan: a
rischio 4000 posti di lavoro se Brexit, hanno ammonito. Ma è dentro al
suo partito sfrangiato, dove abbonda lo scontento per come ha gestito la
bollente patata referendaria che per lui si prepara il redde rationem.