il manifesto 3.6.16
L’ira turca: «È un errore storico, compromessa l’amicizia tra i paesi»
Turchia. Questa crisi potrebbe mettere ancor più in pericolo il controverso accordo sui migranti stipulato con l’Ue
di Giustino Mariano
A
nulla sono valse le pressioni esercitate da poco più di un anno da
Ankara su Berlino, affinché il Bundestag non approvasse la risoluzione
che riconosce come «genocidio» il massacro degli armeni avvenuto nel
1915 ad opera dell’Impero Ottomano. Con un solo voto contrario e un
astenuto, la Germania ha infatti approvato la risoluzione dal titolo
«Memoria e commemorazione del genocidio degli armeni e altre minoranze
cristiane tra il 1915-16«, presentata da un vasto schieramento
parlamentare che va dalla coalizione al governo, composta dalla Cdu
della cancelliera Angela Merkel e dal Spd, il partito socialdemocratico e
dai Verdi, che sono all’opposizione.
Ciò, come era ampiamente
prevedibile, ha fatto irritare profondamente Ankara, il cui governo ha
subito con veemenza dichiarato che questo riconoscimento è «un errore
storico’» e a cui avrebbe dato una adeguata risposta richiamando da
Berlino il suo ambasciatore. Il presidente della Repubblica Recep Tayyip
Erdogan, in visita di Stato in Africa, ha commentato con durezza tale
decisione dicendo che essa avrebbe «compromesso seriamente i rapporti
tra i due paesi» e attraverso il vicepremier Nurman Kurtulmus, ha fatto
sapere che al suo ritorno avrebbe formulato una più precisa e puntuale
risposta a quella che considera «una gravissima e inaccettabile
provocazione, profondamente lesiva della relazione di amicizia tra
Ankara e Berlino».
Il neo primo ministro turco Binali Yildirim,
proprio poche ore prima del voto al Bundestag, aveva avvertito la
cancelliera Angela Merkel che il risultato del voto sarebbe equivalso a
una «vera prova di amicizia» tra i due paesi. Secondo alcuni osservatori
turchi sarebbe in gioco la stabilita’ dei rapporti bilaterali in campo
economico e militare. Ma in realtà Merkel ha subito cercato di gettare
acqua sul fuoco dicendo che «l’amicizia tra i due paesi è molto solida» e
solidi sono anche i loro legami strategici. La Germania è il paese col
maggiore interscambio commerciale con la Turchia; entrambi i paesi sono
inoltre membri della Nato. Attorno a questa vicenda storica dolorosa
ogni anno si accende un’aspra polemica tra il governo turco, che nega la
natura genocidiaria di quell’evento e i paesi che nel mondo la
denunciano.
Ad ogni ricorrenza della data di quel massacro, il 24
aprile 1915, la comunita armena reclama il riconoscimento di quello che
considera un genocidio. La Turchia di oggi non nega che vi siano stati
quei «massacri»; l’anno scorso, l’allora primo ministro turco Ahmet
Davutoglu, si era spinto ben oltre le dichiarazioni del presidente
Erdogan nel riconoscere l’orrore di quegli eventi e infatti dichiarò:
«Le deportazioni degli armeni sono un crimine contro l’umanità». È
questa fu una dichiarazione considerata da molti storica, dopo decenni
di forte rimozione di quella tragedia. E lo stesso presidente Erdogan
aveva riconosciuto l’importanza che il 24 aprile ha per gli armeni.
Aveva
descritto quegli eventi storici come «disumani» e aveva presentato le
condoglianze ai nipoti di coloro che persero la vita parlando di un
«dolore condiviso» e per la prima volta, un anno fa, proprio in
occasione del centenario dei massacri, le due comunità, la turca e
l’armena, celebrarono gli insieme la memoria dello sterminio. La Turchia
rifiuta il termine «genocidio». Sostiene da sempre che non vi era
alcuna volontà di genocidio da parte dell’allora governo dei «Giovani
turchi»; che non vi era un piano premeditato di eliminazione di un
popolo, che si è trattato di massacri e deportazioni da inquadrare
all’interno del contesto della prima guerra mondiale.
Oggi della
questione armena, di genocidio o massacri, si parla apertamente e sono
stati pubblicati libri e prodotti film su questa immane tragedia e le
vittime del 1915 vengono commemorate ogni anno il 24 aprile ad Istanbul e
in tante altre città della Turchia.
Si tratta di un cambiamento
radicale, di una accresciuta consapevolezza di quegli eventi. Alcuni
osservatori ritengono che la crisi che si è aperta tra Ankara e Berlino
potrebbe mettere ancor più in pericolo il controverso accordo di
riammissione dei migranti stipulato tra Unione europea e Turchia il 18
marzo scorso, voluto dalla cancelliera tedesca Merkel. Alla tenuta di
questo accordo tiene moltissimo anche Ankara; con esso spera infatti di
ottenere entro giugno la liberalizzazione dei visti d’ingresso per i
propri cittadini nell’area Schengen. E ciò costituisce per la Turchia un
punto fondamentale dell’accordo con l’Ue.
Tale questione si è
arenata perché Ankara non ha alcuna intenzione di provvedere a riformare
la legge liberticida antiterrorismo come prevista dai 72 criteri
inseriti nell’accordo sulla liberalizzazione dei visti e ha minacciato
di non rispettare il patto sui migranti se Bruxelles non provvederà ad
abolire i visti.
E si teme che la crisi che si è aperta in queste
ore tra Berlino ed Ankara possa ripercuotersi sull’accordo riguardante i
migranti e che dunque il governo turco potrebbe esercitare un ulteriore
pressione su Bruxelles per ammorbidire l’Ue sulla richiesta di riforma
della legge antiterrorismo necessaria per procedere nel negoziato.