il manifesto 3.6.16
Solo il 3% dell’acqua di Gaza è idonea al consumo umano
Territori
Palestinesi Occupati. Non rispetta i parametri internazionali anche
l'acqua filtrata distribuita da società private e che beve gran parte
della popolazione. L'allarme dell'Autorità Palestinese dell'Acqua:
servono subito impianti di dissalazione ma i progetti procedono
lentamente anche per l'embargo israelo-egiziano di Gaza
di Michele Giorgio
GAZA
«Vieni avanti…parcheggia a destra. Il serbatoio dell’acqua è da quel
lato». Tareq Yazji indica dove fermarsi all’autista dell’autobotte.
L’uomo ferma l’automezzo e con gesti rapidi allunga un tubo e lo
aggancia alla cisterna dell’abitazione. Più indietro i figli di Tareq si
preparano a riempire tre grosse taniche. «Va avanti così da anni – ci
spiega l’uomo – non abbiamo l’acqua potabile e dobbiano rifornirci con
le autobotti. I bombardamenti (israeliani del 2014) hanno aggravato la
situazione. In questa zona, tra Nusseirat e Khan Yunis, le autorità non
sono ancora riuscite a riparare completamente la rete idrica. In ogni
caso – aggiunge – quella che esce dai rubinetti serve solo per lavare,
non si può bere». Tareq, sua moglie e i figli, come gran parte dei
palestinesi di Gaza, bevono acqua filtrata. Circa l’85% degli abitanti
della Striscia fa riferimento ai 150 impianti privati che filtrano
l’acqua troppo salata di Gaza e la rendono potabile, o meglio “quasi”
potabile. Studi recenti effettuati da Ong che operano a Gaza hanno messo
in luce che il 46% dell’acqua filtrata è impura a causa di
microrganismi presenti nelle autobotti
e un altro 20% a causa dei serbatoi vecchi e malandati usati dalle famiglie. Ciò che resta presenta altre impurità.
Tirando
le somme, gli studi dicono che i palestinesi di Gaza hanno solo il 3%
di acqua idonea al consumo umano. Bevono quella filtrata ma impura
perchè non possono farne a meno. Poche centinaia di famiglie hanno la
disponibilità economica di comprare ogni giorno l’acqua minerale per
dissetarsi. Altre possono farlo occasionalmente , le rimanenti bevono
l’acqua distribuita dalle autobotti. Il mese scorso Mazin Gunaim, capo
dell’Autorità Palestinese per l’Acqua (Pwa, Palestinian Water
Authority), ha rivelato che già alla fine di quest’anno la falda
acquifera di Gaza non sarà più sfruttabile a causa della concentrazione
di sale, dovuta in gran parte allo sfruttamento che per anni è andato
oltre le possibilità, per le infiltrazioni di acqua di mare e per
l’inquinamento. Un suo collega, Ahmad al Yacouby, ci avverte che la
situazione è gravissima. «L’acqua a Gaza è un problema enorme e con
molte facce», ci dice accogliendoci nel suo ufficio a Gaza city «c’è la
questione dell’acqua da bere largamente insufficiente per 2 milioni di
persone, poi quella dell’acqua filtrata non del tutto sicura, quella dei
pozzi inquinati e naturalmente c’è la questione delle acque reflue non
trattate legata alla poca energia elettrica disponibile e al
funzionamento intermittente dei depuratori. 90 milioni di litri di acque
non trattate o parzialmente trattate si riversano ogni giorno nel mare
di Gaza. Senza dimenticare che 120.000 abitanti sono ancora scollegati
dalla rete idrica pubblica e il 23 per cento della Striscia non è
collegato alla rete fognaria».
L’anno scorso le Nazioni Unite
avevano avvertito che Gaza potrebbe essere inabitabile entro il 2020.
Questa condizione in realtà è già visibile in un territorio teatro di
tre grandi offensive militari israeliane e di altre “minori” dal 2006 al
2014, con decine di migliaia di sfollati, “bloccato” da Israele ed
Egitto, con livelli di disoccupazione tra i più elevati al mondo, senza
risorse e con una popolazione che presto supererà i 2 milioni. «Il
problema più immediato è l’acqua» ricorda Ahmad al Yacouby «al quale
occorre dare una risposta rapida: servono almeno 200 milioni di metri
cubi all’anno. Se teniamo conto che i 55 milioni di metri cubi di acqua
della falda acquifera di fatto sono inutilizzabili, che l’acqua piovana
non riusciamo per vari motivi a raccoglierla e che molti pozzi sono
inquinati, è evidente che l’unica strada percorribile è quella della
costruzione di più impianti di dissalazione e di dover trattare e
purificare le acque reflue per utilizzarle in agricoltura o in altri
settori».
Non è facile però raccogliere donazioni e finanziamenti
per centinaia di milioni di dollari in un quadro politico complesso che
vede la maggior parte dei Paesi occidentali boicottare il governo di
Hamas che amministra Gaza. Inoltre il blocco israeliano all’ingresso di
materiali che, sostiene Tel Aviv, potrebbero essere utilizzati dal
movimento islamico a scopo militare, rende ardua la realizzazione di
progetti minori ma ugualmente importanti per la popolazione civile.
Secondo EWASH, una coalizione di ong e associazioni non governative, 30
progetti per l’acqua a Gaza sono a rischio per la carenza di
attrezzature. Tareq Yazji non si fa illusioni. «L’acqua sarà sempre poca
a Gaza – perché il governo (di Hamas), quello di Ramallah e gli
occidentali promettono e non mantengono. Io so soltanto che oggi ho i
soldi per comprare almeno l’acqua filtrata e che la mia famiglia può
bere, quando non li avrò la mia famiglia morirà di sete».