il manifesto 2.6.16
Il naufragio delle biblioteche
MIBACT.
Un commento che fotografa e analizza la condizione di sofferenza del
comparto dei Beni culturali a ridosso delle recenti dimissioni del
Comitato tecnico scientifico per le biblioteche e gli istituti culturali
di Gino Roncaglia
Qualche
giorno fa avevo promesso al manifesto un articolo sulla difficile
situazione delle biblioteche pubbliche inglesi, alle prese con i pesanti
tagli del governo conservatore. Tagli all’origine di un movimento di
protesta che ha portato alla clamorosa occupazione di alcune biblioteche
e che ha avuto il sostegno di un’ampia fetta della società civile.
Nel
frattempo, però, il dibattito sulle biblioteche è diventato
incandescente anche qui in Italia e mi ha coinvolto personalmente in
quanto membro – ora dimissionario – del Comitato biblioteche e istituti
culturali del Mibact. Il dibattito italiano non riguarda in questo caso i
tagli (che ci sono stati, pesantissimi e distruttivi, negli anni
passati: bisogna dare atto al governo, e nello specifico al ministro
Franceschini, di aver invertito questa tendenza con i maggiori
investimenti previsti per archivi e biblioteche nell’ultima legge di
stabilità). Riguarda però un aspetto non meno rilevante: la dotazione di
personale delle biblioteche statali, a sua volta elemento essenziale
nel determinare la situazione complessiva del nostro sistema
bibliotecario.
La situazione di organico del comparto dei Beni
culturali è in grave, gravissima sofferenza. In molti casi, certo non
solo in ambito bibliotecario, strutture e servizi essenziali faticano
non già a lavorare con ragionevole efficienza, ma a sopravvivere. La
decisione di avviare una procedura concorsuale per funzionari dei Beni
culturali era attesa da tempo, e – nuovamente – va dato atto al
ministero di averla avviata: i cinquecento posti previsti dal bando non
bastano a colmare le carenze, ma sono un primo segnale positivo.
I
posti previsti per la professionalità bibliotecaria sono, però, solo il
5% di quelli messi a concorso. Una decisione che il ministro ha
giustificato con criteri tecnici (la ripartizione proporzionale fra le
varie professionalità, sulla base della dotazione di organico
determinata nel 2015), presentati come la sola scelta possibile ed equa.
La convinzione che ha portato alle dimissioni di Giovanni Solimine dal
Consiglio Superiore dei beni culturali, e dell’intero Comitato tecnico
di settore, presieduto da Mauro Guerrini e che oltre a me comprendeva
Luca Bellingeri e Paolo Matthiae, è che la scelta fatta non solo non
fosse l’unica possibile, ma rappresentasse un grave errore sia tecnico,
sia politico.
Un errore tecnico, perché: a) la determinazione
fatta nel 2015 non era il risultato di un disegno organico ma si
limitava a fotografare un dato di fatto a sua volta legato a scelte –
spesso scellerate – fatte negli anni precedenti; b) quella stessa
determinazione si riferiva sì alle figure professionali, ma non al loro
impegno concreto: oltre un terzo di tali figure viene utilizzato in
contesti diversi da quelli delle biblioteche statali; c) la valutazione
del 2015 è già largamente superata e lo sarà a maggior ragione nel 2017,
quando i vincitori del concorso prenderanno servizio, anche perché
l’età media dei bibliotecari è di gran lunga la più alta dell’intero
comparto dei Beni culturali (e questa, ovviamente, non è una buona
cosa); d) la trasformazione delle soprintendenze archivistiche in
soprintendenze archivistiche e bibliografiche, operata quest’anno,
modifica notevolmente la situazione del 2015 e richiede nuove figure con
competenze bibliotecarie, che al momento non ci sono. E una riforma di
questo tipo, senza le necessarie competenze, rischia di trasformarsi in
un disastro.
L’errore tecnico diventa così errore politico
(purtroppo, non l’unico: aver tolto ad alcune biblioteche anche di
grande rilievo la piena autonomia, riconducendole sotto la direzione di
un polo museale è mossa che aiuta forse a mascherare le carenze di
organico dirigenziale, ma non certo la funzionalità e la progettualità
specifiche che dovrebbero caratterizzare le istituzioni bibliotecarie). E
denuncia l’assenza, in un settore vitale per il nostro sistema
culturale, di un disegno complessivo, che è invece assolutamente
necessario.
Per fermare il declino del mondo delle biblioteche
occorre, insomma, affiancare all’impegno finanziario un disegno
strategico e competenze professionali specifiche e in parte nuove: le
biblioteche non sono affatto rese inutili o obsolete dall’avvento del
digitale, a patto di ripensarle non solo come soggetti individuali di
conservazione e accesso fisico (dimensione comunque imprescindibile), ma
anche come rete di servizi avanzati di alfabetizzazione, mediazione e
disseminazione informativa, tanto sul territorio quanto on-line. Servizi
che occorre costruire e gestire con le necessarie competenze e capacità
decisionali. Qualche mossa in questa direzione il Governo l’ha fatta:
il fatto che il Miur abbia inserito le biblioteche scolastiche fra le
azioni strategiche del Piano nazionale scuola digitale – dopo troppi
anni in cui alle biblioteche scolastiche e al rapporto fra biblioteche e
scuola, essenziali per la formazione di indispensabili competenze di
cittadinanza, non erano state dedicate né attenzione né risorse – è
sicuramente un passo importante. Al quale dovrà però seguire, anche in
questo caso, un lavoro sulle competenze. In Italia non abbiamo la figura
del bibliotecario scolastico (figura di collegamento fra le
funzionalità di mediazione informativa proprie del mondo bibliotecario e
quelle di mediazione formativa proprie della scuola e della
professionalità docente).
Riusciremo – certo per gradi – a
garantire al mondo della scuola anche figure di questo tipo, tanto
importanti nei migliori sistemi formativi a livello internazionale?
L’azione sulle biblioteche scolastiche del Pnsd può essere l’occasione
per avviare la formazione mirata di un primo nucleo di referenti: se
progressivamente si riuscisse a trasformare questi referenti in figure
specifiche, garantendo la presenza di un bibliotecario scolastico almeno
a livello di reti di scuole, si sarebbe compiuto un altro passo
importante.
Le questioni sul tappeto come si vede sono molte, e di
non facile soluzione. A volte, anche le dimissioni possono essere lo
strumento per segnalare l’urgenza di affrontarle, e di affrontarle con
determinazione. In logica, dalla necessità discende automaticamente la
possibilità. In politica, invece, non è affatto scontato che quel che è
necessario sia anche realizzabile: spesso, anche il necessario va
conquistato.