giovedì 2 giugno 2016

il manifesto 2.6.16
Per al-Sisi porta-elicotteri dalla Francia e 500 milioni di dollari da Riyadh
Egitto. I vertici del sindacato sono stati rilasciati ma sabato si apre il processo: rischiano fino a 3 anni. Cala il silenzio internazionale sulla repressione: il presidente l'ha scampata
di Chiara Cruciati

Mentre l’attenzione internazionale sugli arresti di massa del 25 aprile scema, avvocati e attivisti restano dietro le sbarre. Su Ahmed Abdallah, direttore del Comitato per i Diritti e le Libertà e consulente della famiglia Regeni, è calato il silenzio. Rimane il sostegno dei media indipendenti e della rete che ne chiedono il rilascio come lo chiedono per l’avvocato Adly e i giornalisti Badr e el-Sakka.
Proprio ieri l’ordine di detenzione per Malek Adly, responsabile della rete degli avvocati dell’Egyptian Centre for Economic and Social Rights, è stato rinnovato di altri 15 giorni. L’accusa che pesa su di lui è la stessa che pesa sulle 1.270 persone arrestate tra il 15 e il 25 aprile: tentativo di sostituire il governo e incitamento alle proteste.
Nel frattempo gli arresti continuano con scadenza regolare fino a toccare gli attuali simboli della protesta anti-governativa: i vertici del sindacato della stampa. La detenzione senza precedenti del presidente Qalash, del segretario generale Abdel Reheem e del vice segretario el-Balshy, nella notte tra domenica e lunedì, si è conclusa: i tre sono stati rilasciati dopo 24 ore di detenzione e 14 di interrogatorio su cauzione, mille euro a testa pagati da un membro del Partito dell’Alleanza Socialista Popolare, formazione di sinistra nata dopo piazza Tahrir.
Ma su di loro pesano accuse gravi. Sabato si aprirà il processo: i reati contestati per i quali rischiano fino a tre anni di carcere sono di aver diffuso notizie false e aver nascosto i giornalisti Badr e el-Sakka nella sede del sindacato.
«La mia coscienza è pulita e non mi arrenderò – ha detto Qalash al momento del rilascio – Siamo stati aggrediti e siamo stati noi a chiedere giustizia ma quello che è successo è una completa violazione della legge. Non ci piegheremo alle manipolazioni della verità». Il fronte a sostegno del sindacato, però, si restringe: dopo la spaccatura interna al movimento dei giornalisti, la copertura dei principali quotidiani si riduce. Se nei giorni scorsi tutti hanno dato l’ovvia notizia degli arresti, in pochissimi hanno approfondito la questione e ribadito le richieste della stampa in rivolta.
Il presidente al-Sisi non è più preoccupato come lo era due mesi fa: dopo la tempesta Regeni che ha acceso i riflettori sulla politica di repressione interna, l’emergenza è passata e con lei sono scomparse le condanne – seppur di facciata – e le minacce internazionali. Al contrario sul Cairo piovono denaro e armi, premio per la fedeltà dimostrata alle strategie politiche regionali e globali, alla lotta al terrorismo e ai tentativi di frenare il naturale flusso di migranti e rifugiati verso l’Europa.
Così oggi all’Egitto sarà consegnata la prima nave da guerra e porta-elicotteri Mistral dalla Francia. Il ministro della Difesa Sobhi, che vi apporrà personalmente la bandiera egiziana lungo le coste meridionali francesi, ha annunciato che sarà ribattezzata Gamal Abdel Nasser.
La porta-elicotteri, per il cui utilizzo sono stati addestrati 360 marines egiziani, è la prima di due Mistral: Parigi e Il Cairo hanno finalizzato l’accordo nel settembre 2015, un contratto di vendita da 950 milioni di euro. In principio erano destinati alla Russia ma con l’entrata in vigore delle sanzioni contro Mosca la Francia si è ritrovata con due porta-elicotteri di cui sbarazzarsi il più velocemente possibile per evitare gli alti costi di manutenzione. E ha trovato l’Egitto.
Nelle stesse ore la presidenza egiziana dava un altro annuncio: la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD), organismo finanziario internazionale di sviluppo regionale, investirà 700 milioni di euro in Egitto. Progetti pubblici e privati che si aggiungeranno ai 1.7 miliardi di euro che la Ebrd ha già investito, 34 diversi progetti tra reti elettriche, raccolta dei rifiuti e treni sotterranei.
Infine il grande finanziatore, l’Arabia Saudita. Per garantirsi la fedeltà indefessa del Cairo ai propri piani di influenze regionali, Riyadh ha messo sul tavolo del presidente al-Sisi finanziamenti, prestiti e donazioni per un totale di 20 miliardi di dollari. Ieri la prima tranche da mezzo miliardo è stata consegnata, fa sapere il ministro della Cooperazione Internazionale Sahar Nasr.
L’accordo era stato stretto da al-Sisi e re Salman Saud ad aprile, durante la visita saudita al Cairo, un incontro che ha fatto da miccia alle proteste interne: in cambio della pioggia di denaro, l’ex generale ha ceduto all’Arabia Saudita le due isole Tiran e Sanafir, sul Mar Rosso, provocando le prime manifestazioni di masse dal 2014 e le conseguenti campagne di arresti. Ma al-Sisi non ha ceduto alle pressioni interne, consapevole del bisogno ugente di quel denaro. Da parte sua Riyadh, che si mostra come sereno manager dell’operazione, ha altrettanta necessità di evitare un collasso economico e politico del regime.