il manifesto 2.6.16
Tre metri sopra i gufi
Governo. Renzi si ricorda delle comunali e intervista Giachetti (però fa arrabbiare Sala)
Ma
il cuore lo porta sempre al referendum: «Gli scienziati sono con me». E
sfoggia l’appello firmato da Federico Moccia e Susanna Tamaro
La ministra Giannini pacata: «La vittoria del No sarebbe come la Brexit»
La scoperta di Padoan: «Se si perde vado a casa anche io»
di Andrea Colombo
Alla
fine è spuntato anche Matteo Renzi: non farsi proprio vedere per tutta
la campagna elettorale, per uno che di mestiere fa anche il segretario
di partito, non era possibile. Ieri a Roma, nell’improbabile parte
dell’intervistatore, con Giachetti, il candidato, sottoposto alle
domande del socio. Un Renzi di buon umore quello romano: i sondaggi
riconsolano. La distanza con la testa di serie Raggi pare tanto ridotta
da rendere certo il ballottaggio. Poi, sempre stando alle sensazioni
aleggianti ovunque, non ci sarà partita, è vero, però lo sanno tutti che
nella Capitale al Pd basta agguantare lo spareggio per raccontarla come
Cesare di ritorno dalla Gallia.
Il giorno prima il segretario
aveva raggiunto invece la piazza di Milano, per sponsorizzare il
traballante Sala. Lì, però, l’umore del capo era meno scintillante. Mr.
Expo doveva vincere facile: sennò uno che se lo sceglie a fare un
candidato di destra? Invece si è fatto raggiungere dallo sfidante e
Renzi butta lì uno sganassone sotto forma di battuta: «Milano è un
rigore, e un rigore ben tirato non si para». La risposta
dell’imbestialito Sala è arrivata ieri mattina: «Non sono un entusiasta
del calcio e se l’intento era responsabilizzarmi non ne ho bisogno. Ci
penso da solo».
Ma no commissario, l’intento del gran capo non era
responsabilizzare proprio nessuno. Più semplicemente, l’idea che Renzi
si è fatto della sua partecipazione alla campagna elettorale è semplice:
se si vince ho vinto io, se si perde ha perso il candidato. La
battutaccia inelegante serviva a chiarire che se a calciare è finito uno
tanto inetto di sbagliare persino il classico rigore a porta vuota, lui
cosa può farci?
Però, per quanto alla fine sia inevitabile
ricordarsi che nelle principali città si vota, l’esigenza principale
resta quella di offuscare la vicina prova a rischio adoperando all’uopo
quella più lontana, il referendum di ottobre. E’ a rischio pure quello
per la verità, ma ci si penserà a suo tempo. Al momento e fino a quando
le comunali non saranno finite e digerite bisogna tirarlo in ballo il
più possibile, a proposito e a sproposito. Il che, peraltro comporta
alcuni involontari effetti tra il comico e il grottesco.
Ieri la
notizia del giorno era l’appello di 250 docenti e intellettuali a favore
del sì. Renzi si scalda, s’infervora, si commuove. Questi sì che sono
«scienziati» mica come quei gufacci che tutt’al più li puoi definire
professoroni. Solo che tra i nomi noti che sponsorizzano la riformissima
ne spiccano alcuni che per definirli scienziati ce ne vuole. Federico
Moccia, per esempio, inventore del lucchetto dell’amore che da Ponte
Milvio ha contagiato mezzo mondo: definirlo scienziato magari è un po’
azzardato, Come Liliana Cavani, apprezzata regista, o Susanna Tamaro,
che senza dubbio va dove la porta il cuore, mentre è meno certo che a
indirizzarla sia la scienza.
Nulla da eccepire invece per il
professore Massimo Ammaniti, celebre e valido psicoanalista, il quale
tuttavia assicura che la riforma non va male, a parte alcuni passaggi
non condivisibili come quelli che riguardano il Senato, e uno si chiede:
ma che fa sfotte? Possibile che allo scienziato nessuno abbia fatto
notare che detti passaggi sono in effetti la riforma? Lucio Villari,
noto storico, è pure lui per la riforma, in nome di un confronto
«pacato». Raccoglie solerte l’invito la ministra Giannini, che in quanto
titolare della Pubblica istruzione è un po’ scienziata pure lei: «La
vittoria del No sarebbe come la Brexit». Pacata, pacatissima…
La
Giannini non è l’unica ministra in campo. Bisogna fare notizia e questo
passa il mercato. Così il ministro Padoan annuncia che qualora vincesse
il no anche il suo dicastero rimarrebbe vacante. Precisazione
necessaria, essendo i più convinti che anche dopo le dimissioni del
premier il ministro dell’Economia avrebbe comunque continuato a
frequentare le riunioni del governo, per ammazzare il tempo con un
solitario.
Già che c’è il ministro coglie l’occasione per
annunciare che il sospirato taglio dell’Irpef potrebbe arrivare già nel
2017. Sempre che il governo ci sia ancora, va da sé, e dipende da voi
cari contribuenti/elettori. Mediate, gente, meditate…