il manifesto 29.6.16
Unidos Podemos, l’obiettivo di vincere come limite
di Loris Caruso
Podemos
è un oggetto politico controverso. Quasi conturbante. Somiglia a quelle
squadre che, puntando esclusivamente a vincere, sono giudicate solo in
base ai risultati. Essere efficaci, sedurre, conquistare voti, diventare
maggioritari è stata finora la sua ossessione. Di fronte a buoni
risultati lo si considera un’invenzione geniale. Risultati inferiore
alle attese fanno affiorare dubbi, anche radicali, e diffidenze. Podemos
vuole vincere, quindi gli si chiede di vincere. È nato per il
Biltzkrieg: la guerra lampo, l’incursione «tremenda» e vittoriosa. Una
strategia che aveva una scadenza: le elezioni generali. L’obiettivo non è
stato raggiunto. Il ciclo elettorale si è chiuso.
Ma tutta la
riflessione del partito era limitata ad affrontare questa fase. Non
esiste per ora un piano B: un partito di opposizione non è ancora stato
pensato. Di fronte alla ciclotimia dei giudizi su questa formazione, è
giusto fare due premesse. La prima è che un partito nato due anni fa,
chiaramente schierato a sinistra dei socialisti, ha stabilizzato un
blocco elettorale del 20%. Parlare di un fallimento sarebbe quindi
farsesco. Podemos resta un’intuizione estremamente efficace, che in un
paese come l’Italia, in cui la sinistra e i movimenti versano nelle
condizioni in cui versano, dev’essere studiata.
La seconda
premessa è che non sempre, quando i risultati sono inferiori alle
aspettative, le responsabilità sono soggettive. Ci possono essere limiti
anche oggettivi all’espansione di un progetto politico alternativo,
soprattutto quando è pensato in tempi molto veloci. Può essere che in
Spagna quello del 20% fosse un tetto che non era ancora possibile
sfondare. I cambiamenti percepiti come radicali si affermano in
situazioni radicali (come in Grecia e in America Latina). Lo Stato
spagnolo e i partiti storici spagnoli non sono in decomposizione.
Le
élite interne sono compatte. L’economia non è al collasso. La crisi
sociale è profonda ed estesa ma non tragica. In ogni caso, c’è bisogno
di tempo. Quasi mai si vince al primo tentativo. E c’è, in tutte le
società, una resistenza antropologica ai cambiamenti, su cui solo il
tempo può scavare.
Da questo punto di vista, la strategia del
Biltzkrieg aveva forse tre elementi di debolezza (rilevabili,
ovviamente, solo in base ai risultati): era un’ipotesi fondata sull’idea
di una crisi verticale dell’egemonia del bipartitismo spagnolo, che non
ha l’entità immaginata; si pensava che la potenza comunicativa potesse
supplire all’assenza di un radicamento territoriale, che PP e PSOE
mostrano invece di avere ancora (in forma, in gran parte, clientelare);
quella mitologica creatura che è «lo spagnolo medio» (su cui Podemos
basa la propria comunicazione) è meno disponibile al cambiamento di
quanto si immaginasse.
Qualche errore può poi esser stato fatto
anche nella campagna elettorale di Unidos Podemos (UP). La campagna è
stata interamente disegnata a partire dalla convinzione (demoscopica) di
essere saldamente in seconda posizione, davanti al PSOE e a pochi punti
dal PP. L’avversario ti definisce. Bisogna vedere quanto ti lasci
definire. UP si è lasciata definire dai sondaggi e dalla «campagna della
paura» degli avversari, che ha costantemente associato la vittoria di
UP all’instaurazione di un regime bolivariano.
UP ha impostato il
suo messaggio su questi fattori, permettendo che oscurassero l’idea del
cambiamento e della novità. Ha giocato in difesa, da un lato per
proteggere il risultato virtuale della seconda posizione, dall’altro per
rassicurare sul fatto di essere dei bravi ragazzi, il partito
patriottico della legge e dell’ordine, che porta solo un po’ di
cambiamento. Il messaggio disegnato da questo doppio movimento è
risultato forse eccessivamente contenuto, poco chiaro, non abbastanza
capace di contrastare il discorso aggressivo di PP e PSOE, ripetitivo,
semplificato, sloganistico, a volte (come dall’interno accusa Monedero)
perfino un po’ vuoto, basato su simboli ultra-pop come il cuore e il
sorriso. Chi ha vinto, come Syriza e le sinistre sudamericane, ha
attaccato frontalmente il centro-sinistra liberista. Podemos ha suonato
note mielose.
Secondo aspetto. I discorsi di Podemos e Izquierda
Unida non si sono armonizzati. IU faceva un tradizionale discorso di
trasformazione sociale. Podemos un discorso di patriottismo
progressista. Non è stata una sinfonia, ma la giustapposizione di due
motivi diversi, che devono aver confuso una parte di elettorato. Le
prime inchieste post-voto sembrano infatti ricondurre il milione di voti
persi da Podemos-IU a una crescita dell’astensione tra le sue fila,
segno di un’insufficiente mobilitazione dell’elettorato. Terzo aspetto.
UP ha impostato una campagna di polarizzazione tra sé stessa e il PP.
Questo ha mobilitato sia l’elettorato del PP (terrorizzato da Podemos)
che quello del PSOE (punto sull’orgoglio).
Quarto aspetto. Per
l’impostazione teorica che ha, Podemos è sembrato convinto che il
Discorso (le parole, la comunicazione, i messaggi verbali ed estetici
lanciati su TV e social media) possano sostituire la presenza sociale.
Il partito non stringe alleanze con i corpi sociali. Non fa iniziative
concrete rivolte a gruppi specifici. Per fare un esempio, il suo
principale problema in questa campagna era il voto degli anziani. Per
affrontarlo, ha pensato che fosse sufficiente parlare degli anziani,
invece che fare iniziative pubbliche con realtà sociali che potessero
parlare non di quel mondo, ma direttamente con quel mondo. Non esistono
iniziative pubbliche di Podemos con associazioni, movimenti,
organizzazioni sociali. Il fallimento del Blitzkrieg dimostra che il
Discorso e i media non possono (ancora) tutto. In questi due anni
Podemos ha parlato e inscenato, esaurendo la sua attività nelle campagne
elettorali e nella comunicazione. Può essere che non basti? La società
continua ad avere, per fortuna, una sua dimensione materiale, una
vischiosità non assorbibile nella liquidità mediatica.
Forse da
qui può cominciare il piano B. L’alleanza Podemos-IU sembra per ora
reggere al colpo. Ma lo specifico della situazione spagnola, che la
rende così interessante e peculiare, è il ciclo mobilitazione
sociale-innovazione politica-successo elettorale. E se la situazione di
forte incertezza che si apre in Spagna riportasse il pendolo alla prima
casella? L’opposizione può anche essere salutare. Un ritorno alla
mobilitazione sociale, sostenuta da quella che è ora una grande sinistra
politica organizzata, potrebbe riaprire i giochi, allargando
ulteriormente il terreno del conflitto politico. Dalla Spagna possono
arrivare, nei prossimi mesi, altre sorprese. E in Italia è sempre più
utile, e necessario, prendere appunti.