il manifesto 28.6.16
Sinistre punite dalla presunzione
di Aldo Garzia
Gli
spagnoli – con una percentuale di votanti che ha sfiorato il minimo
storico del 70% – hanno scelto la continuità. Hanno premiato il Partito
popolare (Pp) del premier uscente Mariano Rajoy che si conferma prima
forza politica con il 33,03%. I socialisti sono inchiodati al 22,67%.
Non c’è l’annunciato, dai sondaggi e dai primi exit poll di ieri sera,
sorpasso di Podemos sul Psoe. Nonostante questa volta il partito di
Pablo Iglesias si presentasse in alleanza con Izquierda unida, i
consensi si sono fermati al 20,7%.
A fare da ago della bilancia
restano i centristi di Ciudadanos con il 13,9%. La Spagna resta sulla
carta ingovernabile come sei mesi fa.
Le sinistre, quella
socialdemocratica del Psoe e quella radicale di Podemos, sono sconfitte
entrambe dal voto. Si erano illuse di poter giocare un secondo tempo in
condizioni migliori del primo, ma devono ora prendere atto che hanno
perso quasi sicuramente la chance di formare insieme un governo. Se sei
mesi fa avessero messo da parte i veti incrociati e avessero lavorato a
un programma minimo, si potevano evitare le elezioni anticipate
chiedendo aiuto anche ad alcune liste nazionaliste imprimendo una svolta
alla politica spagnola. Ha invece prevalso la presunzione di Psoe e
Podemos di avere più tempo a disposizione per consolidare i propri
consensi e imporre all’altro le proprie condizioni. L’errore di
presunzione è stato duramente punito. Il Psoe argina la perdita di
consensi, mentre Podemos perde un milione di voti (non ha persuaso il
rapporto con Izquierda unida che forse ha attenuato l’immagine di novità
della forza politica nata come proiezione del movimento degli
indignados). Ora è quasi impossibile formare “un governo di
cambiamento”, come avevano sbandierato alla vigilia del voto puntando a
decidere che il premier l’avrebbe fatto il leader del Psoe o di Podemos,
a seconda di chi avrebbe prevalso in voti sull’altro.
L’assenza
di governo degli ultimi sei mesi ha finito per rafforzare il Pp. I
popolari, di fronte alla litigiosità delle sinistre, sono apparsi
indispensabili per la governabilità della Spagna. Una mano in questa
direzione è venuta pure dall’esito del referendum britannico
sull’Europa. Il rischio instabilità è stato segnalato nei giorni scorsi
da banche, finanza ed economia di Madrid. Le stesse forze che invocano
adesso un bel governo di unità nazionale sull’esempio della Germania
fondato sull’accordo popolari/socialisti, con la quasi certa esclusione
di Rajoy dalla premiership cercando per sostituirlo un Mario Monti in
salsa iberica che vada bene a poteri economici e sindacati. Questa
prospettiva di unità nazionale non è però facile da raggiungere.
Socialisti e popolari hanno collaborato solo a metà degli anni settanta,
il periodo iniziale della transizione democratica: poi se le sono
sempre suonate di santa ragione, restando forze antagoniste in un
sistema politico bipolare. Nell’ultimo anno è finito il bipolarismo non
solo in Italia ma pure in Spagna. Da qui l’impazzimento della politica
spagnola che cerca nuovi equilibri.
E’ facile prevedere che il
confronto divamperà nel Psoe. Il segretario Pedro Sanchez è accusato da
un’ala del partito – quella forte e pesante dell’Andalusia, innanzitutto
– di non aver voluto l’unità nazionale già sei mesi fa per inseguire
l’inafferrabile Podemos. Le stesse critiche gli sono mosse da Felipe
Gonzalez, leader storico del partito ed ex premier per quattro
legislature, feroce avversario di un rapporto privilegiato con Podemos
con cui però i socialisti governano a Madrid e Barcellona. Più duttile è
invece l’altro ex premier José Luis Rodriguez Zapatero, che ha sempre
sostenuto la segreteria di Sanchez. Il Psoe andrà probabilmente a un
congresso straordinario per regolare i conti interni. Dire sì o no
all’unità nazionale obbliga i socialisti al redde rationem. Lo stesso
dovrà avvenire tra i popolari.
Interrogativi strategici riguardano
ovviamente anche Podemos. Nelle prime dichiarazioni post voto, Iglesias
ha teso la mano ai socialisti nel tentativo di non disperdere il
patrimonio unitario comunque accumulato negli ultimi mesi. Il problema è
che socialdemocratici e sinistra non possono eludere il tema dei
reciproci rapporti, se vogliono costituire nel presente e nel futuro una
alternativa di governo. Un conto è competere su contenuti e strategie
contaminandosi a vicenda, un altro è ritenere impossibili rapporti
unitari. La questione delle relazione tra le due componenti della
sinistra torna perciò con prepotenza. E’ illusorio pensare che la
sinistra moderata possa fare a meno di quella radicale. E viceversa.
L’insegnamento spagnolo vale anche per la sinistra italiana.