martedì 28 giugno 2016

il manifesto 28.6.16
Podemos cerca i motivi del «fracaso»
Dopo il 26J. Iglesias non parla, avviata una ricerca demoscopica per comprendere la debacle. Le voci dall'interno: «L'alleanza con Izquierda Unida non è in discussione»
di Simone Pieranni

Una riunione di oltre due ore al termine della quale si è deciso di incaricare una società specializzata in ricerche demoscopiche per capire le ragioni di quella che viene percepita come una sconfitta.
La parola «fracaso» («fallimento») la pensano tutti ma non la usa nessuno. Il nucleo duro di Podemos ha scelto una strada razionale per ottenere una spiegazione di fronte a risultati elettorali che hanno lasciato sorpresi i «viola».
Scambiare qualche parola con i ragazzi e le ragazze di Unidos Podemos il giorno dopo la grande delusione, significa aprire un baratro nelle certezze di persone, per lo più giovani, che si sentivano davvero vicine a un momento storico. Pochi minuti prima dei dati reali che avrebbero scoperchiato una realtà ben distante dai propri desideri, c’era stata l’esultanza per gli exit poll che confermavano le aspettative più rosee dei sondaggi dei giorni precedenti.
Un passaggio a tal punto brusco che qualcuno – guardando i numeri scorrere sullo schermo gigante del teatro Goya – ha perfino dubitato fossero corretti, talmente assomigliavano a quelli del 20 dicembre scorso. Dalla serata di domenica sera al quartier generale si sono spenti i sorrisi sui volti di tanti. Un contrappasso letale tenendo conto dello slogan della campagna elettorale, «la sonrisa de un pais».
Nei comizi, nei talk show in televisione, sui social network: cuore e sorrisi sono stati i simboli lanciati da Unidos Podemos in contrapposizione a Rajoy che aveva definito la neonata alleanza come «los malos». Messaggi rassicuranti, per questo è stato scelto il cuore come simbolo comune, ben sapendo che la paura degli elettori spagnoli per il «cambio» poteva diventare uno scoglio pericoloso.
Al teatro Goya prima e in piazza poi, dove erano pronte molte persone per festeggiare, la leadership di Unidos Podemos ha dovuto affrontare il momento più difficile della sua pur breve storia. I numeri del resto sono impietosi: l’alleanza tra Podemos e Izquierda Unida non ha «moltiplicato» i voti.
Anzi manca all’appello almeno un milione di voti e sarà necessaria un’analisi molto accurata dell’origine e della dinamica di questo dissanguamento. Ieri Pablo Echenique, responsabile dell’organizzazione di Podemos, ha sottolineato la necessità di «capire bene», innanzitutto, questo dato, confermando anche la necessaria «autocritica».
Politicamente la «linea» di Unidos Podemos in questo momento è chiara e netta: si difende l’alleanza e la «tenuta» di uno spazio politico nuovo, abbastanza forte da rimanere uguale al 20D, benché non così prorompente da portare al vero «cambio».
Rimangono però alcune incognite legate alla natura dell’alleanza e alle caratteristiche dei due soggetti principali, Izquierda Unida e Podemos. La prima, formazione storica della sinistra spagnola, identificata per molto tempo da Podemos alla stregua del Psoe, ha di recente effettuato un ampio cambio della propria dirigenza. Si tratta di un partito nel quale hanno trascorsi politici anche molte persone collegate a Podemos (compresi i genitori di alcuni dei leader della formazione «morada»). Garzon – il leader di Iu – ha voluto un’alleanza che non tutti sembravano apprezzare (nonostante sia stata ratificata da un referendum interno).
Nei giorni precedenti alle elezioni però tutti i rappresentanti più rilevanti di Iu di Madrid, sottolineavano l’unità della posizione rivendicandosi anche il merito dello spostamento a sinistra di Podemos. Tutto questo nonostante il percorso post accordo non sia stato semplice per niente. Alberto Garzon – ad esempio – è stato posizionato solo quinto nella lista elettorale madrilena.
O ancora: nei dibattiti televisivi importanti Garzon non è mai stato preso in considerazione. Ma il milione di voti ottenuti da Iu a dicembre ha pesato: era il numero che Iglesias voleva per compiere il salto decisivo per il «sorpasso» ai danni del Psoe. Proprio quei rivali socialisti che demonizzando Unidos Podemos – come ha fatto il Pp – hanno contribuito a terrorizzare un elettorato scosso anche dalla Brexit.
Anche se questo evento, secondo un membro della dirigenza di Iu, non avrebbe influito granché sul voto per una questione di tempo: troppo a ridosso dal voto.
Qualche malumore pre elettorale era stato registrato anche in Podemos. Non è un mistero che il numero due del partito, Inigo Errejon, trentenne e responsabile della campagna elettorale, nonché vero e proprio teorico del movimento, fosse contrario alla confluenza. Questa frattura, emersa all’esterno, potrebbe tornare oggi a seguito del risultato elettorale deludente.
È il «coleta» Iglesias (ieri silente) che viene messo in croce tanto dagli avversari, quanto da alcuni dei suoi compagni. Il leader di Podemos richiede moltissime energie dal suo partito, ne utilizza parecchie forze e intelligenze.
E c’è chi oggi sostiene che forse avrebbe dovuto dedicare più tempo alle piazze e alle strade, anziché ai soli dibattiti televisivi. Ma questa è anche la natura di Podemos: la capacità di organizzazione e di divisione dei ruoli maniacale, con la certezza del potere centrale della televisione nella società spagnola.
Queste critiche puntano a mettere in evidenza un segnale che potrebbe essere stato captato da potenziali elettori: una sorta di perdita di contatto con la realtà, che in un elettorato disilluso come quello spagnolo potrebbe avere confuso Podemos con «la solita vecchia politica».
Da domenica sera l’aria è indubbiamente pesante. Stando alle voci di chi è vicino alla dirigenza di Unidos Podemos, in questo momento – nonostante la grande frustrazione e rabbia– il clima rimarrebbe «razionale».
I volti sono tirati e nervosi ma sembrano esclusi colpi di testa o decisioni clamorose (come ad esempio le dimissioni tanto di Iglesias, quanto di Garzon). Il problema, se mai, sembra un altro. Nel caso in cui Rajoy riuscisse a formare un governo, per Podemos si aprirebbe una nuova fase.
I «viola» sono infatti nati con la vocazione elettorale. Hanno sempre puntato al governo. Ritrovarsi all’opposizione potrebbe essere logorante per una leadership che ambisce, senza tanti giri di parole, a prendere il potere e a gestirlo con idee piuttosto chiare.
Podemos rischierebbe di ritrovarsi in trincea di fronte a un governo che potrebbe imporre manovre dure. All’opposizione Podemos finirebbe per contrassegnare ancora di più la propria presenza a sinistra, sempre riesca a diventare una forza capace di tornare in piazza.